«È divertente, straziante…è l’America». Così l’equipe della produzione del film definì Forrest Gump (trailer), che compie oggi trent’anni dalla sua prima proiezione a Los Angeles.
Il film, prodotto dalla Paramount nel 1994, è una rivisitazione ed adattamento dell’omonimo romanzo (1986) del giornalista Winston Groom. Diretto da Robert Zemeckise con protagonista Tom Hanks, la pellicola si aggiudicò sei statuette agli Oscar del 1995, compresa quella per il Miglior film, alle quali seguono vari riconoscimenti per un totale di undici premi su ventidue candidature totali. Forrest Gump può essere definito come un film a carattere storico e romantico, che oscilla continuamente tra registri comici e drammatici.
Forrest Gump è ormai universalmente riconosciuto come un cult della storia del cinema. L’importanza culturale che ricopre è data dal fatto che la narrazione percorre trent’anni di storia americana (1950-80). Ogni tappa della vita di Forrest mette in evidenza un nucleo tematico socioculturale, raccontandoci in una sola pellicola l’intero immaginario statunitense, mostrandocelo in tutte le sue ferite ed i suoi sogni. Inoltre, la varietà di tematiche affrontate permettono a tutti gli spettatori di rispecchiarsi almeno in una di esse (il rapporto madre-figlio, la malattia, il razzismo, il bullismo, la violenza sessuale ma anche l’amicizia, l’amore, le nuove possibilità, ecc).
Il film è caratterizzato da una forte dimensione onirica e sognante, resa, oltre che delle scelte di fotografia, dall’articolazione della linea temporale che si alterna costantemente tra passato e presente. La long line, la linea d’azione principale (quella che viene definita nei manuali di sceneggiatura come plot A), è mostrata allo spettatore attraverso un racconto cronologico narrato dal protagonista a degli ascoltatori occasionali mentre è seduto su una panchina in una fermata dell’autobus di Savannah (Georgia). Le prime parole che pronuncia questo singolare uomo, sulla quarantina e tutto ingessato, sono: “Ciao, mi chiamo Forrest…Forrest Gump”. È evidente: quel passante siamo noi, come lo saremmo per tutti gli altri ai quali Forrest racconterà le avventure della sua strabiliante ed incredibile vita, le avventure di un’intera generazione americana.
Forrest chiude gli occhi e si sveglia bambino. Noi con lui veniamo catapultati nella sua infanzia, nel set-up del film, e scopriamo da subito la triste e dura verità della sua vita: Forrest ha un lieve ritardo cognitivo ed un QI di poco inferiore alla media. In più ha gravi problemi alla schiena che lo portano ad avere una peculiare supporto d’acciaio alle gambe. Il giovane, per queste ragioni, non viene ammesso alla scuola pubblica fino a che la madre non si concede sessualmente al preside. Qui abbiamo quello che viene tipicamente definito “l’incidente scatenante” dell’avventura di Forrest: l’ammissione alla scuola pubblica rappresenta la possibilità di avere una vita come tutti gli altri, un futuro normale non ovattato dal trattamento riservato alle persone “speciali”. Sullo scuolabus Forrest conoscerà Jenny, l’amore della sua vita, dando inizio al sub plot e cuore del film: la loro storia d’amore.
Da lì in poi la vita di Forrest sarà un accumularsi di successi, una serie di straordinari eventi che lo portano a vivere una vita intensa e piena di avventure, andando contro qualsiasi aspettativa che si avrebbe nei confronti dello “scemo del villaggio”. Il racconto non perde tempo e inizia a seminare simbolismi già dalle prime frasi pronunciate dal protagonista. Durante la descrizione del suo nome ci ricorda, e questo è solo uno dei tanti esempi, una delle varie piaghe che afflissero la storia americana: il suo nome deriva da uno dei comandanti del Ku Klux Klan ma, per antifrasi, questo Forrest è lo stesso che affronterà (involontariamente) il governatore conservatore dell’Alabama George Wallace, schierandosi a favore dell’integrazione razziale nella sua università. Negli anni del college diventa una stella del football, che lo porterà difronte a John Fitzgerald Kennedy in persona. Grazie allo sport si laurea per poi arruolarsi nell’esercito.
Nell’esercito riceve continui riconoscimenti dai suoi superiori (il suo sergente istruttore altro non è che una versione migliorata del sergente Hartman di Full Metal Jacket). Sul bus dell’esercito conosce il suo migliore amico Bubba, anche lui dell’Alabama ma afroamericano. Tutto cambia quando Forrest viene spedito in Vietnam, dove passerà uno dei periodi più tragici della sua vita, pur non perdendo la sua fortuna. In Vietnam conosce il tenente Dan Taylor al quale salverà la vita insieme ad altri soldati durante un bombardamento, in cui verrà ferito. Nell’ospedale dove verrà ricoverato insieme al tenente Dan – ormai mutilato dopo aver perso entrambe le gambe -, Forrest imparerà a giocare a ping-pong. Al suo ritorno verrà spedito in Cina a rappresentare l’America durante quella che venne definita come “la diplomazia del ping-pong”. Tutto questo non prima di aver ricevuto una medaglia d’onore da parte del congresso per aver combattuto valorosamente, tenendo un discorso a Washington difronte a migliaia di hippies a favore della pace, con lo scopo di raccontare gli orrori del Vietnam.
Una volta congedato torna a casa, mantiene la promessa fatta a Bubba prima che morisse sul campo, realizzando il suo sogno: comprare un peschereccio per gamberi, che lo porterà in futuro a diventare milionario. Dopo questo acquisto instaura un particolare e profondo rapporto di amicizia con il tenente Dan, subisce la morte della madre e Jenny lo abbandona più volte. Dopo l’ennesima delusione d’amore, Forrest avrà una delle più bizzarre idee mai viste sullo schermo fino ad allora: deciderà di correre fino allo stancarsi, ma così finirà per percorrere in lungo ed in largo l’America. In seguito investirà sulla Apple diventando miliardario, ma la vera sorpresa l’avrà alla fine del film quando scoprirà di avere un figlio dall’amore della sua vita Jenny, che però gli comunica di essere malata. Dopo la morte di Jenny inizierà la più grande e difficile avventura di Forrest ossia prendersi cura di suo figlio.
Il film racconterà trasversalmente, non solo storia politica, ma anche la cultura popolare americana di quegli anni. Gump è circondato di icone pop: ispira Elvis Presley, legge la dedica di Marylin Monroe nel bagno di Kennedy, conosce John Lennon in un talk show televisivo, ispirerà la famosa icona dello “smile”, e così via. Il tutto si rispecchia nella sottile ed complessa colonna sonora composta dai più famosi brani di quei decenni.
In tutto questo l’unica cosa che fa Forrest Gump è “correre”. Lui stesso ce lo ribadisce più volte. Allora come riesce ad ottenere tutto questo successo? Ciò che fa è semplicemente vivere il sogno americano o, meglio, la sua illusione. La satira di Zemeckis si riferisce a tutta un’ampia, ma determinata, fetta della società americana: quella dei suoi vertici, basata sul protestantesimo ed il successo, quello non meritocratico. Nel suo universo, Forrest Gump non ottiene ricompense per il duro lavoro, al contrario, le persone che faticano spesso non hanno ciò che si meritano (come la madre o il tenente Dan o chi come Bubba ha un sogno da voler realizzare) perché la vita non è giusta ma è “come una scatola di cioccolatini”, legata al destino ed alla fortuna, o ancora meglio al volere di Dio. Lo stesso Dio che sfida direttamente il tenente Dan quando durante un’alluvione, in cui la macchina da presa lo cattura incorniciato dalla bandiera degli Stati Uniti seduto sull’albero della nave; lo stesso dio a cui Jenny chiede di diventare un uccello per “poter volare via” dalle sue sofferenze, lo stesso al quale Forrest si affida per tutto il film.
Tutti i personaggi principali della storia vivono la loro parte di sofferenza, facendo emergere il sogno americano come un’enorme bugia: il destino è imprevedibile, solo Dio ne tiene le redini. Solo Forrest riesce a realizzare il sogno di diventare “ricchi, famosi e felici” e questo suo destino ha due chiavi di lettura che coesistono in un’unica narrazione.
La prima, quella più evidente e commovente per lo spettatore: il tema del riscatto del più debole, cliché delle narrazioni americane, ma qui mostrato alla massima potenza. Nonostante sia un perdente dal basso quoziente intellettivo, Forrest riesce a sposare la donna che ama, avere un figlio da lei e diventare praticamente un miliardario, sopravvivendo illeso da una guerra che costò la vita di molti. Il personaggio interpretato da Tom Hanks è il più improbabile cittadino americano di sempre, nella cultura protestante americana è colui che viene comunemente definito come un “predestinato di dio”. Quando sei un predestinato non importa chi sei o cosa fai nella vita, riuscirai a vincere solo perchè Dio ti ha scelto dalla nascita.
Forrest è puro e per questo Dio gli dà accesso al sogno americano. Puro ma anche ingenuo, qui dobbiamo considerare l’altra chiave di lettura della sua vita, del film e dell’America: l’illusione del sogno americano, la menzogna su cui si basa. Forrest non diventa una pedina della cultura capitalista, si lascia nelle mani di Dio e si estranea dalla società americana del suo tempo. Non percepisce a pieno, per via del suo ritardo, ciò che realmente vive e ciò che succede intorno a lui. Di fatto, nello stesso Vietnam in cui il tenente perde le gambe e Bubba muore, per Forrest, si fanno lunghe passeggiate e non appostamenti. Nello stesso ospedale che condivideva con gli altri soldati feriti lui è contento di dividere la stanza con il tenente Dan che vorrebbe suicidarsi, mangia gelato e “giocavo solo a ping-pong”. Ci racconta che spararono a Jonh Lennon “senza alcun particolare motivo”.
Quella del protagonista è un’illusione non solo personale, ma che mostra una manipolazione dalla società stessa sulla realtà. Zemeckis ce lo mostra nella sequenza in cui Gump si ritrova davanti a migliaia di persone per raccontare le brutalità della guerra in Vietnam fino a quando un altro soldato, un maggiore, stacca la spina e gli silenzia il microfono. Nessun’altro, a parte i presenti sul palco, saprà cosa ha detto Forrest. Una palese metafora visiva del tentativo politico statunitense di nascondere la più grande ferita che colpì gli USA.
A fare da contraltare al predestinato abbiamo il fallimento del sogno americano, chi non ha la benedizione di Dio con sé: Il tenente Dan e Jenny. Jenny è una donna sana, normodotata, eppure danneggiata dalla vita. Per lei l’imprevedibilità del destino è letale, non vive sogni ma incubi ricorrenti. Come per Forrest la fortuna, la “sfortuna” di Jenny l’accompagna dall’infanzia: vittima di abusi familiari vagherà per l’America tra degrado, solitudine e relazioni sempre più tossiche e disfunzionali, toccando i picchi peggiori con la droga e la prostituzione.
Il tenente Dan paga il pegno per aver interrotto il volere di Dio e cambiato il suo destino, che, come quello dei suoi avi, doveva essere: morire in battaglia. Un uomo normodotato diventa un veterano di guerra mutilato: «Non sarebbe dovuto succedere a me, io avevo un destino. Cosa devo fare adesso?». Come Jenny, Dan vivrà un periodo di alcoolismo e depressione, fino a quando non cercherà di nuovo Forrest e si unirà a lui in una delle sue varie avventure a bordo del peschereccio per gamberi. La vita del tenente cambierà quando avrà il coraggio di affrontare il suo nuovo destino di fronte a Dio. Solo dopo averlo sfidato apertamente il tenente potrà vivere una vita felice, passando dal maledire a ringraziare Forrest per avergli salvato la vita, che ci sottolinea la pace ritrovata del suo tenente: «non l’ha mai detto ma io credo che abbia fatto pace con dio».
Forrest Gump è una storia che racconta l’America, i suoi sogni e le sue illusioni, che ci mostra e smaschera la base su cui sono fondati sui suoi pilastri. Per ammissione dello stesso Zemeckis riferendosi al romanzo: «il libro di Groom aveva un tono molto più cinico e freddo rispetto al nostro film. Qui Forrest è un personaggio del tutto rispettabile, sempre fedele alla sua parola. Non ha alcun programma e nessuna opinione su nulla tranne Jenny, sua madre e Dio».
BIBLIOGRAFIA
Ilaria Moschini, Il grande cerchio. Un viaggio nell’immaginario americano, Le Lettere, 2007.
FILMOGRAFIA
I film della nostra infanzia, Brian Volk-Weiss, USA, 2019.