#RomaFF19: Fino alla fine, la recensione del film di Gabriele Muccino

Fino alla fine recensione del film di Gabriele Muccino

Gabriele Muccino torna dopo quattro anni di assenza nelle sale italiane con Fino alla fine (trailer), film diretto e scritto da lui insieme a Paolo Costella e ispirato al film tedesco Victoria di Sebastian Schipper. Dopo aver abituato i suoi spettatori a drammi familiari e appassionanti storie d’amore, il regista porta in sala un heist movie a tutti gli effetti, ambientato in una magnifica Palermo nell’arco di 24 ore. 

Protagonista del film è Sophie (Elena Kampouris), turista americana in vacanza in Italia con la sorella, bellissima e al contempo fragilissima. Arrivate a Palermo per il loro ultimo giorno di vacanza, l’oppressione e l’iperprotettività della sorella fanno scattare in Sophie un moto di liberazione che la porterà in un vortice di avventure ed emozioni apparentemente senza fine. L’incontro con Giulio (Saul Nanni) e il suo gruppo di amici è il trigger che dà la svolta alla vita della protagonista. Quella che inizialmente dovrebbe essere l’avventura di una notte si trasforma con un’impressionante escalation di eventi nella folle deriva di una donna di cui sin dall’inizio si era annunciata l’instabilità.

In una continua sfida contro se stessa e i limiti che la sua famiglia le ha posto, Sophie accetta di far parte dell’attività criminale dei quattro ragazzi senza pensarci troppo, fino quasi a rendersene promotrice. Se infatti l’unica grande trasgressione consisteva inizialmente nella rapina di un’auto blindata che conteneva migliaia di euro, tutto il resto è il frutto di un delirio di onnipotenza prima collettivo e poi tutto di Sophie. « Sono una brava persona », afferma la ragazza più volte, come in un loop, incastrata in una gabbia di convinzioni che lei stessa ha costruito e che, anche uscendo vincitrice dalla sfida che si è posta, rimarrà intatta e ancora più stretta.

Fino alla fine recensione del film di Gabriele Muccino

Dal punto di vista narrativo va tutto troppo bene per essere vero o anche solo sembrare vero, tant’è che la sensazione che si prova assistendo impotenti al climax della seconda metà del film è proprio quella di vivere uno di quegli incubi in cui fuggiamo da una minaccia persecutoria in una corsa disperata: il delirio di Sophie ha il potere di coinvolgere chi la circonda (l’amato Giulio in primis passerà in poco tempo dall’essere il carnefice che l’ha coinvolta nella rapina alla vittima dei piani folli della ragazza) ma soprattutto lo spettatore, che vive una condizione ambivalente tra immedesimazione con la protagonista e rigetto delle sue azioni.

Se il piano della scrittura scricchiola le prove attoriali del gruppo di ragazzi sono invece piuttosto solide e credibili, soprattutto quella di Lorenzo Richelmy, che in diversi momenti prevale nettamente sui due protagonisti del film. Questo però non basta a salvare il film dalle sue lacune.

Laddove un soggetto così denso di azione può sembrare la scelta vincente per accattivare un pubblico che negli ultimi anni ha visto le stesse trame trite e ritrite, bisogna d’altra parte considerare che questa scelta comporta la necessità di adottare delle soluzioni narrative e formali originali, che in qualche modo superino gli sterminati cliché del cinema action e mirino invece ad arricchirlo di potenzialità. Muccino sembra però rimanere troppo ancorato al soggetto di partenza e ricercare – come ci si poteva aspettare da lui – un sensazionalismo da appassionante storia d’amore alla Bonnie e Clyde. Finché il regista non si svincolerà dall’ossessione e la reiterazione di un genere (quello romantico) che ha frequentato più e più volte e su cui, si può dire, ha fondato la sua carriera, non sarà possibile per lui alcun tipo di evoluzione, neanche con la più avvincente delle premesse.

Al cinema dal 31 ottobre

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