Si è conclusa da pochissimo la 71esima edizione della kermesse musicale più importante del nostro Paese: il Festival di Sanremo. Come tutti gli anni, ad anticipare i cinque giorni della gara, presente come sempre quella scia di critiche che quest’anno invece che attenuarsi sono raddoppiate. Non tutti, infatti, hanno inteso questo Sanremo come un’occasione per evadere dalla dura e triste realtà che stiamo vivendo, come hanno dimostrato anche i numeri in termini di ascolto e i confronti fatti con l’auditel degli altri anni.
Un’edizione travagliata che, fino all’ultimo, sarebbe potuta essere in bilico e dunque annullata: con la conferma del CTS, nell’ultima settimana di febbraio sono accelerati i lavori di adeguamento al protocollo sanitario e si è vista sempre più lontana la possibilità di avere in sala anche un pubblico di figuranti come sta succedendo in altre trasmissioni televisive. Sarebbe stato, dunque, un festival indimenticabile anche per l’assenza di applausi veri, di brusii, risate, standing ovations reali, vive.
Nonostante queste avvilenti premesse, Amadeus e Fiorello, riconfermati già durante l’estate, sono riusciti a portare avanti, non senza difficoltà, le quasi cinque ore di diretta ogni sera supportati da meravigliose primedonne, dai tanti ospiti (tutti rigorosamente italiani a causa delle restrizioni COVID) e dalle esibizioni dei cantanti come sempre promosse a gran voce o stroncate dopo il primo minuto da un pubblico a casa che quest’anno si è sentito rappresentato in teatro dagli elementi dell’orchestra.
Nel fare un bilancio della manifestazione salta all’occhio la scelta dei 26 campioni in gara che ha decisamente spiazzato un po’ tutti facendo felici alcuni, soprattutto gli under 30, e lasciando perplesso un pubblico abituato ad altri ritmi, testi e persone che tipicamente possono definirsi “da Festival”. Questa scelta così inusuale, motivata dal desiderio di cambiamento e di differenza rispetto agli altri anni, non è però del tutto nuova. La decisione del direttore artistico, infatti, ricalca quello che accadde esattamente cinquant’anni fa. Nel 1961, su 42 partecipanti ben 25 erano esordienti, giovani ragazze e ragazzi che sarebbero poi diventati grandi nomi della musica italiana: Adriano Celentano, Gino Paoli, Milva, Tony Renis, Little Tony, Umberto Bindi, Giorgio Gaber, Jimmy Fontana. A vincere fu la coppia composta proprio da Betty Curtis e dall’esordiente Luciano Tajoli mentre secondi arrivarono Adriano Celentano e Little Tony con “24 mila baci”.
50 anni dopo la storia si è ripetuta: a vincere sono stati i Maneskin, gruppo romano vincitore nel 2017 del talent show X-Factor mentre al secondo posto si sono piazzati Francesca Michielin, che si era già classificata seconda nel 2016, e Fedez, per la prima volta all’Ariston. Entrambe le posizioni sono state, senza ombra di dubbio, generate dalla forte influenza del televoto visto che la somma dei voti delle giurie precedenti dava come favorito Ermal Meta che si è classificato invece terzo.
Anche quest’anno, come cinquant’anni fa, su 26 cantanti la metà esatta era esordiente. Paradossalmente, però, la rivelazione della 71esima edizione di Sanremo è stata la cantante più conosciuta, interprete di canzoni che hanno attraversato intere generazioni e che non saliva sul palco dell’Ariston dal 1992. Con Quando ti sei innamorato e rigorosamente senza autotune, Orietta Berti ha conquistato la nona posizione e ha conquistato anche il pubblico dei più giovani per aver mostrato sia la sua semplicità, che a volte le è costata anche qualche simpaticissima gaffe, ma anche un’anima giovane e trasgressiva emersa grazie ai suoi outfit sgargianti curati da Giuliano Calza, lo stilista che lo scorso anno ha vestito un protagonista non solo di questa ma di tutte le edizioni a cui ha partecipato: Achille Lauro. (1)
Si è capito fin dalla sua prima discesa sul palco dell’Ariston nel 2019 che l’uragano Lauro non si sarebbe placato tanto facilmente. Se, infatti, l’anno scorso, da cantante in gara, ha stravolto definitivamente la classica performance da festival, quest’anno a Sanremo come ospite fisso ha nuovamente regalato cinque momenti estranei all’estetica televisiva italiana: esibizioni troppo nuove, forse troppo diverse che hanno fatto esultare una nuova generazione abituata a vedere i grandi show americani e che hanno fatto rabbrividire una vecchia generazione pronta ad accusare Lauro di aver profanato il palco dell’Ariston, di essere stato blasfemo, di aver vilipeso la bandiera italiana. Insomma, abbiamo capito che con Lauro non ci possono essere mezze misure: o piace o non piace.
È innegabile però la cura e l’attenzione con cui la forma abbia cercato di portare una sostanza molto potente ed importante veicolata grazie anche all’aiuto di altri cantanti, attori o ballerini che sono intervenuti nei suoi quadri. Quelle dell’artista romano non sono state infatti semplici esibizioni ma un messaggio di libertà “per chi ha scelto di essere e di goderne, per chi se ne frega, per chi ha conosciuto la fine e della fine ha fatto il suo nuovo inizio, per tutti gli incompresi”.
Anche e soprattutto quest’anno non sono mancati i momenti in cui il Festival di Sanremo ha svolto una funzione sociale (alcuni meno riusciti, altri invece riuscitissimi) introdotti non solo dalle primedonne del festival, tra cui hanno spiccato la giovanissima attrice Matilda De Angelis e la cantante Elodie, ma anche da alcuni dei Big che hanno sempre avuto una parola da spendere per l’emergenza che si trova ad affrontare il mondo della musica, dell’audiovisivo e dello spettacolo dal vivo in seguito alla pandemia, senza essere plateali ma con decoro e allo stesso tempo incisività.
“Siamo fuori di testa, ma diversi da loro” cantano i Maneskin nella loro canzone “Zitti e buoni”: l’urlo rock di una generazione che vuole esserci, un urlo che Amadeus ha saputo ascoltare senza però recidere i ponti col passato, consapevole che, per ottenere un vero cambiamento, presente e passato non devono mai escludersi ma sempre coesistere.