La Festa del Cinema di Roma si è conclusa il 24 ottobre, lasciando nell’immaginario del pubblico alcuni ricordi dal forte impatto emotivo: l’energia dirompente di Lo Chiamavano Jeeg Robot, i dialoghi nonsense di Microbe & Gasoline, il primo sguardo al mondo esterno di Jack in Room.
Se si parla degli Incontri però, difficilmente ci si ricorda con tanta emozione di una frase di Paolo Sorrentino, di un aneddoto di Joel Coen o di una battuta di Jude Law. Abbiamo dovuto aspettare proprio il 24 ottobre affinché ciò avvenisse, se non per noi quantomeno per il pubblico. La giornata di chiusura ha infatti visto protagonisti Carlo Verdone e Paola Cortellesi, attesi per l’incontro con il pubblico alle 18.30. La differenza con le altre star è emersa subito dal red carpet: se Jude Law infatti aveva deliberatamente evitato ogni tipo di contatto con la folla, i due comici italiani si sono invece largamente concessi ai fan tra selfie, autografi e risate. All’interno, la Sala Sinopoli dell’Auditorium non era da meno; si respirava un’aria diversa rispetto alle precedenti giornate, un’aria fatta di fibrillazione e attesa, curiosità e divertimento. Una volta entrati in sala i due attori, la fibrillazione si è trasformata in estasi: un tripudio di applausi e risate accompagnava ogni frase da loro pronunciata, che si trattasse di un ricordo, uno scherzo o una considerazione sul mondo del cinema. A ben vedere, il centro del loro successo non può essere ricondotto ai contenuti da loro espressi, e questo non perché essi fossero scadenti, ma semplicemente perché non erano tali da giustificare tanta adesione.
Come sono riusciti quindi a catalizzare l’attenzione del pubblico?
E in generale, cosa spinge lo spettatore a partecipare emotivamente ad un incontro con una star?
Se non è stata la sostanza a fare la differenza, allora è il caso di parlare di forma. Oggi più che mai il pubblico ha la possibilità di accorciare le distanze con la star: se negli ’50 il divo era assimilabile ad una divinità dell’Olimpo, oggi i potenti mezzi mediatici (si pensi a Instagram o Twitter) hanno fornito la possibilità di colmare quell’immenso vuoto che separava la celebrità dallo spettatore. Ma ancor più importante è la consapevolezza che lo spettatore stesso ha di questo: conscio del fatto che non esiste più questa distanza, laddove dovesse ancora riscontrarla per la reticenza della star stessa non rimane altro che esserne indifferente. La forma allora si esplicita nella capacità di mettersi in gioco con ironia e sagacia, di non prendersi sul serio, o come ha affermato lo stesso Verdone nei confronti della Cortellesi «con la naturalezza dell’arte di nascondere l’arte». Si è vero, Paolo Sorrentino ha provato a scherzare con il pubblico, Joel Coen e Frances McDormand hanno raccontato la loro vita personale, ma in tutti loro aleggiava quella traccia di autorità e distacco che impedito l’avvicinamento del pubblico. Inoltre, nel contesto specifico della Festa del Cinema di Roma, l’appartenenza nazionale non è cosa da poco. Essere italiani, o ancora più specificatamente nel loro caso essere romani, ha gettato le basi per una naturale vicinanza emotiva con il pubblico, alimentata poi dalla bravura di Verdone nel far leva sul sentimento popolare legato alla cultura cinematografica italiana. Alberto Sordi, Federico Fellini, la Sora Lella e Sergio Leone sono solo alcuni dei nomi che il mattatore romano ha citato nei suoi racconti, suscitando nel pubblico quell’unione tra nostalgia ed orgoglio che ha decretato il successo dell’incontro.
Ad amalgamare i concetti di vicinanza e appartenenza è infine la natura stessa dei due attori: la comicità. Intesa come «valore terapeutico» – così definita dallo stesso Verdone- l’arte della comicità rappresenta da sempre un’importante ponte di collegamento con lo spettatore, specie se si è in grado di non compiere compromessi con la qualità del racconto filmico, o in questo caso con la qualità dell’incontro. È Paola Cortellesi a chiarirlo a tutti, dimostrando piena consapevolezza di come la comicità possa rappresentare la saldatura del rapporto con il pubblico «Secondo me spesso si confonde la leggerezza con la superficialità. I nostri grandi registi hanno usato la leggerezza per raccontare temi drammaticissimi, in modo da non far calare un muro davanti agli spettatori: pensate a La Grande Guerra. L’umorismo è un veicolo straordinario per traghettare argomenti importanti, come accade nei film di Carlo Verdone: Carlo usa la leggerezza, non la superficialità».
Gianluca Badii