How the f**k did this happen? Make America Democratic Again
Farhenheit 11/9, ultima pellicola del documentarista premio Oscar Michael Moore, arriva in Italia dopo la distribuzione americana durante il mese di settembre. Oltre alla presentazione durante la Festa del Cinema di Roma, il film è stato distribuito nelle sale italiane da Lucky Red durante le giornate del 22-23-24 ottobre.
Michael Moore torna per l’ennesima volta ad indagare e smascherare i lati più oscuri e paradossali della politica e della società americana, riprendendo il taglio del suo noto Fahrenheit 9/11 – concentrato sulla politica bushiana post 11 settembre – per indagare lo «stato dell’arte» della politica americana nell’era Trump. Per quanto l’opera abbia come fulcro centrale il 45° presidente degli Stati Uniti d’America, il discorso si divide tra più questioni: dalla perdita di fiducia degli elettori nei confronti dell’ala liberal (nessuno escluso, nemmeno Obama) agli scandali per l’intossicazione del sistema idrico della città di Flint (luogo di nascita dello stesso Moore, più volte inclusa nei suoi reportage), dai movimenti neo-suprematisti alle nuove organizzazioni giovanili – unica apparente speranza per un cambio di marcia nella politica americana.
Ma, al di là dei singoli casi, ciò che tiene insieme tutto il discorso è una domanda: l’intera struttura democratica americana è davvero a rischio? A cui andrebbe aggiunta, riprendendola testualmente dal film, la domanda: «How the f**k did this happen?». Montesquieu direbbe che «la tirannia di un principe in un’oligarchia non è pericolosa per il bene pubblico quanto l’apatia del cittadino in una democrazia». Forse da questa apatia, da questo disinteresse e da quei 100 milioni di non elettori che parte la sostanziale riflessione del sempre puntuale Michael Moore. Apatia che si concretizza in una totale disillusione degli elettori nei confronti della politica – e soprattutto nei confronti del partito democratico, che, a detta di Moore, da Bill Clinton in avanti si è sempre più allontanato dalle esigenze della popolazione, non facendo gli interessi dei più deboli e scendendo a continui compromessi.
Ma allontanarsi non rappresenta una soluzione. Moore ce lo spiega molto chiaramente. La democrazia – sempre che la si possa definire precisamente – non è un sistema imperfetto, intoccabile e autoimmune. Nessuno di noi può sperare che la sola democrazia ci possa tutelare da eventuali distorsioni autoritarie o repressive. Il film porta ad esempio l’avanguardia politica e culturale che la repubblica di Weimar rappresentava appena prima di diventare, nel 1933, quello che tutti noi conosciamo. Ma, anche se i liberal hanno apparentemente abbandonato la causa, provocando lo scollamento dell’elettorato. Gli esempi di nuove forze non mancano, persone e comunità a cui questa nuova ondata conservatrice e suprematista non sta bene, che con la loro tenacia hanno già ottenuto risultati e fatto sentire la loro presenza: docenti, studenti e rappresentanti delle nuove generazioni che credono ancora nella politica e nel cambiamento, senza attenderlo, ma conquistandoselo.
Il cassandrico Michael Moore ci avverte e come sempre tocca i punti più scottanti della società americana. Per quanto riguarda la «Questione Trump», la sua previsione comparsa nell’articolo sull’Huffington Post nel 2016 si era rivelata corretta: Trump vincerà le elezioni. Se l’intero impianto democratico sia a rischio, non lo sappiamo ancora. Ma, prima che sia troppo tardi – o, come sottolinea il film, il mandato non diventi di sedici anni come più volte Trump ha proposto, con un tono tra il serio e il faceto – meglio cominciare a chiedersi quali potrebbero essere le conseguenze di determinate scelte politiche, in America, quanto nel resto del mondo.
di Louis Samuel Andreotta