Carissima Patrizia, tu hai ricoperto un ruolo in Ginger e Fred (1985) di Fellini, e di quest’esperienza conservi un bel ricordo. Conoscevi Federico già prima?
Lo avevo conosciuto in un paio di incontri prima delle riprese, forse due/tre mesi prima, non di più. Mi aveva ricevuto nel suo studio a Cinecittà, dove incontrava tutti, dagli amici ai colleghi. Lo studio era molto piccolo, pieno di bauli con i suoi copioni e migliaia di foto di personaggi conosciuti e dei suoi attori. Era così pieno che le foto ormai uscivano di fuori! Quel posto sembrava quasi una scenografia teatrale! Sono stata presentata da Pietro De Silva, mio marito allora, che lo frequentava e che lo aveva informato del suo nuovo progetto, appunto Ginger e Fred. Pietro ha voluto presentarmi a lui. Fellini ha accettato di farmi fare una parte e sin dal primo momento ci siamo affiatati
Che tipo di rapporto hai instaurato?
Mi piaceva ascoltare i suoi racconti, le sue particolari annotazioni sulla gioventù e sulle novità, su tutto ciò che era fresco, diciamo. Era una persona molto capace di accettare i cambiamenti, e anche per questo molto creativo
Parliamo del set. In questo film come impostava la regia?
Aveva una grande organizzazione, con molte persone sul set contemporaneamente che lo aiutavano e grazie a loro era in grado di gestire numeri molto grandi, perché nel caos lui trovava molta concentrazione e capacità di inventare! Io ho girato una scena breve, nel Teatro 5 di Cinecittà, dove è stata ricreata questa grande sala mensa della Rai. Per quanto breve, la scena ha impegnato molti giorni di riprese proprio perché Fellini amava questa sorta di “miscellanea” creativa. Sul set aveva Gianni Arduini come aiuto regista, che riusciva a controllare anche situazioni di ripresa complesse, come moltissimi movimenti di attori intorno che sembravano irrilevanti ma che in realtà lui utilizzava poi come “sfondo” al dialogo degli attori principali, catturando svariati dettagli di qua e di là, per lui i movimenti di sfondo erano importantissimi
Quindi c’erano più azioni su set in contemporanea?
In realtà si concentravano prima sull’azione principale, mentre altri membri della troupe coordinavano su sue indicazioni le comparse e gli attori. In quelle scene a cui ho preso parte io, ricordo che figuravano anche persone della troupe che si mischiavano. Amava queste situazioni caotiche dove finiva per focalizzarsi solo su una battuta particolare o su dei frammenti specifici di tutto il girato, per poi rimanere molto tempo su una situazione “concentrata”. Solo nelle scene dei due protagonisti c’era più raccoglimento. Per il resto estrapolava solo poche parti del tutto. Ovviamente il tutto era sotto il suo controllo, non permetteva certo che un assistente della troupe potesse dare il ciak da solo. Per una singola sequenza impiegava moltissimi giorni fino a trovare la porzione giusta di girato, oltre che le giuste situazioni da utilizzare nel prodotto finito. Poi era anche molto puntiglioso sulle luci da usare, e quante volte tornava su una sola scena, ripetendola e ripetendola. Su un singolo dettaglio ci tornava mille volte. Ma c’erano anche situazioni multiple, vale a dire che varie cineprese filmavano in contemporanea e non si sapeva quale delle inquadrature sarebbe poi stata usata. Anche se poi capitava anche con una sola cinepresa, nel senso che una mdp filmava molto muovendosi in vari punti del set che era appunto ricco e pieno di gruppi di attori in tutti gli angoli e le direzioni, e ognuno di questi gruppi faceva cose diverse.
Curioso come ancora negli anni Ottanta, preferisse il doppiaggio alla presa diretta!
Assolutamente sì. Basti pensare che anche le battute che ci dava erano di scarsa importanza. Quando si andava al doppiaggio infatti i dialoghi cambiavano completamente e si divertiva molto in questo. Alla fine sono stata molto di più in sala di doppiaggio che sul set! La sua scelta era mossa dal fatto che amava far vedere questi personaggi che parlano e non parlano attraverso questi sfasamenti del labiale, quasi come se gli attori parlassero al di fuori della loro stessa intenzione. Perdeva molto tempo poi in sala di montaggio, prima che il film uscisse poteva passare anche un anno. Montava e smontava più e più volte, fino ad arrivare al cut finale
Fellini e la direzione degli attori. Quale era il suo metodo?
Federico era uno straordinario amante dell’attore, come pochi! Sicuramente non permetteva di dire ad un attore cosa fare. Più che dare i toni cercava di dare il carattere con il quale recitare le battute. Era molto dolce con tutti, chiamandoci con appellativi come “carino”, anche perché a volte non ricordava i nomi (ride). E anche se molti di noi eravamo giovanissimi, lui era sempre molto disponibile con tutti, quasi paterno. Noi al contrario sembravamo quasi sprezzanti e forti verso quest’uomo ormai anziano che poteva apparire quasi disarmato. Nonostante tutto posso dire che non era stato intollerante con nessuno. Mai
Sei stata molto a contatto con Mastroianni sul set?
Sono stata a fianco a lui una decina di giorni. Io giravo la scena dove ero una delle giornaliste che apparentemente colte e gentili finivano per essere molto volgari e insensibili nei confronti di questo vecchio ballerino di Tip Tap oltre che sedicente poeta convinto di aver trovato nei giornalisti degli intellettuali tutt’altro che superficiali…
Il film viene letto come un attacco alla volgarità della televisione degli anni ’80. Fellini ha mai detto durante le riprese se queste erano le sue intenzioni?
Diciamo che a noi attori aveva spiegato che l’intenzione principale era quella di rendere grottesco un mondo come quello della televisione che già lo è tanto. Voleva molto giocare sulla confusione e la superficialità di questa TV immaginaria raccontata nel film, appunto un palco celebratore delle vecchie glorie del teatro e dello spettacolo. Come i due protagonisti, che non si trovano a loro agio!
Dell’accoglienza d’epoca cosa ricordi?
Quando è uscito diciamo che è andato abbastanza bene. Forse non rimane il suo film più riuscito anche perché è una di quelle pellicole del periodo “nostalgico”, che puntava ad una riflessione sulla televisione commerciale che sovrastava la vecchia concezione dello spettacolo dei decenni precedenti, come l’avanspettacolo e tutte le altre forme di intrattenimento… Il tema era interessante, ma già in quegli anni di nicchia, in quel periodo che segnava l’inizio della cultura berlusconiana non poteva interessare molto, era già il periodo dell’abbuffata e della confusione sovrana nell’immaginario televisivo
Infatti Fellini era molto avverso a quel contesto. Basti pensare che non tollerava le interruzioni pubblicitarie durante le messe in onda dei suoi film
Ma era una presa di posizione abbastanza originale all’epoca. Non tutti i registi reagivano così, anzi la massa andava in direzione favorevole. Per Fellini era uno shock l’ubriacatura televisiva che stava affrontando quella generazione