Felice Laudadio racconta la sua amicizia con Marcello Mastroianni

marcello mastroianni, intervista

In occasione del centenario della nascita di Marcello Mastroianni abbiamo intervistato il giornalista, ideatore e già direttore del Bif&st e presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia Felice Laudadio per farci raccontare la sua amicizia con il grande attore, uno dei più importanti del cinema italiano.

Numerose iniziative dedicate a Marcello stanno vedendo la luce in queste settimane, dalle mostre alle monografie. È soddisfatto di queste celebrazioni per ricordare Mastroianni?

Sicuramente la mostra Marcello come here! che il CSC ha organizzato a Venezia è stata molto importante, un omaggio interessante nello stesso luogo, la Mostra del Cinema di Venezia, nel quale lo omaggiai a mia volta nel 1997, l’anno successivo alla sua scomparsa, ritraendolo nel manifesto di quell’edizione e dedicandogli il Premio Mastroianni che Venezia assegna alla migliore interpretazione “rivelazione”, maschile e femminile. Queste ricorrenze, in occasione di un centenario, sono sempre utili, anche se non aiutano a riportare la gente al cinema.

Come e quando è nata la sua amicizia con Mastroianni?

Non me lo ricordo in realtà (ride). Le amicizie nascono, e con la frequentazione spesso si perde il ricordo delle “origini”. Posso solo dire che, dopo averlo conosciuto, l’ho intervistato per l’Unità, nel 1979, l’ho tante volte avuto ospite ai Festival di cui ero direttore, dal MystFest di Cattolica a EuropaCinema. Certo, è stato un rapporto molto bello, una grande amicizia, fino alla fine dei suoi giorni, quando entrambi vivevamo a Parigi. Andammo via entrambi da Roma nel 1994, quando Silvio Berlusconi fu nominato Presidente del Consiglio, e Marcello decise di lasciare l’Italia. Da quel momento in poi si stabilì quasi definitivamente a Parigi, tornando da noi solo per motivi di lavoro. A Parigi facevamo lunghe passeggiate lungo la Senna nelle quali si parlava di tutto, ma mai di cinema. Non era uno di quei talenti che vivono esclusivamente del proprio mito e del proprio lavoro.

Fu la sua maniera di reagire a quelle elezioni…

In tanti pensano che Mastroianni non abbia mai avuto un’identità politica. Non è vero! Certo, non era un militante come Gian Maria Volonté, altro mio grande amico peraltro, o Gassman, dichiaratamente socialista. Marcello era una persona molto discreta e riservata, e questo spesso lo induceva a non esprimere posizioni politiche. Infatti, quando si presentò alla camera ardente per Enrico Berlinguer, allestita alle Botteghe Oscure, fu una sorpresa generale vederlo condividere il picchetto d’onore insieme ad altri esponenti della cultura italiana.  Aveva una grande ammirazione per quell’uomo. Marcello era un po’ come Berlinguer: discreto e elegante, sia fisicamente che culturalmente. Quando lo descrivono come un divo sbagliano, non lo era affatto. Era di una semplicità assoluta, specialmente nel suo rapporto con i colleghi di lavoro, dall’attrice protagonista fino all’ultimo componente della troupe, era la negazione del divismo! E poi i veri divi sono quelli che non fanno i divi.

Ha mai assistito alle riprese di qualche suo film?

Sì, qualche volta sono andato a trovarlo sul set: mentre girava La terrazza e Maccheroni di Ettore Scola, Ginger e Fred di Fellini o Al di là delle nuvole di Antonioni e Wenders del quale ero il produttore associato. Prima assistevo alle riprese, poi durante la pausa andavamo a mangiare un boccone insieme. Erano bei momenti; parlavamo di società, di amicizie comuni, ma mai di lavoro o del film che stava girando. Neanche durante le cene che organizzavamo al Villaggio dei Pescatori a Fregene (da lui ribattezzato Villaggio dei Peccatori) quando entrambi vivevamo lì, a pochi passi l’uno dall’altro. Preferivamo parlare piuttosto dei libri che stavamo leggendo. Mastroianni era molto colto e leggeva tanto.

Quali libri?

Romanzi soprattutto. Ricordo che una domenica mattina, a Fregene, stavo leggendo La resa del leone del grande Osvaldo Soriano: la storia di un ex console argentino che vive nell’immaginario stato africano del Bongwutsi che dichiara guerra al Regno Unito quando l’esercito britannico occupa le Malvinas (ovvero le Isole Falkland), quando Marcello venne a trovarmi. La trama che gli raccontai gli piacque così tanto che, in attesa che io finissi di leggere il libro, si mise a leggere la mia “mazzetta” di giornali. Non appena chiusi il libro se ne impadronì e fece ritorno a casa sua. Riapparve dopo qualche ora dicendo «voglio i diritti di questo libro!» per farne un film, ovviamente. Ci informammo, con l’aiuto della sua avvocatessa Giovanna Cau, apprendendo con grande disappunto di Marcello che erano stati già acquistati da un produttore (mi pare messicano), anche se poi il film non l’hanno mai fatto.

la dolce vita

Le ha mai parlato dei suoi gusti musicali?

Di musica no. Ma di musicisti sì, che erano spesso nostre amicizie comuni, da Nino Rota ad Armando Trovajoli. Parlava di Rota in particolare, anche perché era il compositore di quei film di Fellini che lo avevano lanciato sul mercato internazionale.

Dei cinque colonnelli del cinema italiano (li definì così lei), ovvero Sordi, Manfredi, Tognazzi, Gassman e lui, è stato l’unico a non aver mai fatto il regista! Le ha mai detto perché?

Mastroianni non era un colonnello ma un generale (ride). Ribattezziamolo così! Comunque, non ha mai pensato di fare il regista perché non ne aveva l’ambizione. Ed era anche un po’ pigro da questo punto di vista. Lui lavorava incessantemente come attore; studiava le sceneggiature e le imparava molto rapidamente, così come molto rapidamente si liberava del personaggio una volta terminato il film.

Nel 1988 disegnò il manifesto della quinta edizione del festival Europa Cinema da lei diretto.

Infatti. Quell’edizione si tenne a Bari, dopo le quattro edizioni a Rimini. Dopo i manifesti disegnati per il festival da Fellini, Antonioni, Scola e Tonino Guerra, fu la volta di Marcello. Ricordo che mi chiese «dove si svolge?» e io gli risposi che si sarebbe tenuto al Teatro Petruzzelli. Lui disegnò un manifesto con le poltrone rosse. Era molto bravo, perché da ragazzo aveva lavorato come disegnatore tecnico, avrebbe voluto fare architettura, progetto che abbandonò dopo aver iniziato la sua carriera d’attore.

C’è stato qualche film che ha rifiutato e del quale si è poi pentito?

Non so, anche perché non parlava di queste cose. C’è una leggenda attorno a Il Casanova di Federico Fellini, film che inizialmente avrebbe dovuto fare Volonté, che poi rifiutò giacché Gian Maria e Federico proprio non si intendevano fra loro. Uscito di scena Volonté, Fellini lo propose anche a Marcello (e poi ad altri ancora prima di scritturare Donald Sutherland) che però pare fu consigliato da qualcuno di non farsi coinvolgere nel film. Ma non si sa se davvero sia andata così; perché è, appunto, una leggenda. Ma poi Marcello si rifece per il ruolo del Casanova, interpretandolo in quello stranissimo, fantastico film di Ettore Scola che è Il mondo nuovo.

Lavorò molto anche all’estero…

Molto più di tanti suoi colleghi. Lavorò fra gli altri con Louis Malle, John Boorman, Roman Polanski, Robert Altman, Nikita Michalkov, Theo Angelopoulos, tra i migliori registi stranieri di sempre. Ricordo che a volte, già prima del 1994, sentiva la necessità di scappare da Roma, accettando di girare in Paesi lontani come quando andò in Brasile per interpretare Gabriela di Bruno Barreto con Sonia Braga. Gli chiesi «ma perché vai in Brasile per un film così?» e lui «perché ogni tanto devo scappare dalle mie donne». Era una battuta, ovviamente, ma intanto fuggiva lontano dove a volte lo raggiungeva il suo più grande amico, Antonio Severini, il suo medico di fiducia, anch’egli persona discreta e riservata.

marcello mastroianni, intervista

A quando risalgono i suoi ultimi incontri con Mastroianni?

Alle sue ultime settimane di vita. Nell’ottobre del 1996 ebbi modo di vederlo in teatro a Napoli nello spettacolo Le ultime lune. Era tornato a recitare sul palcoscenico dove era iniziata la sua carriera, diretto per tanti anni da Visconti. Un titolo fortemente simbolico, Le ultime lune… Sarebbe potuto morire in scena come Molière se avesse continuato a lavorare in quello spettacolo che il 3 novembre 1996 fu interrotto a causa dell’aggravarsi della sua malattia. Poco più di un mese più tardi Marcello scomparve. Ma stava già molto male mentre girava in Portogallo il suo ultimo film, Viaggio all’inizio del mondo di Manoel de Oliveira.

Cocteau, infatti, disse che «la cinepresa riprende la morte al lavoro».

Negli ultimi anni ormai preferiva il cinema, in quanto meno impegnativo delle tournée teatrali che durano un’intera stagione. In seguito, quando ormai giaceva nel suo letto a Parigi, lo incontrai nuovamente. Ricordo ancora, con estrema commozione, con quanto affetto il suo grande amico Marco Ferreri, che sarebbe anche lui scomparso poco dopo, stringeva per ore la mano di Marcello immobile a letto.

Molto bello anche l’omaggio che lei gli ha dedicato al Bif&st 2016, in occasione del ventennale della scomparsa.

Quella fu un’iniziativa stupenda. Organizzammo una vasta retrospettiva scegliendo 40 fra i 147 film da lui interpretati e allestendo una mostra all’aperto che ebbe una grande partecipazione di pubblico, ricca di fotografie provenienti dall’archivio fotografico della Cineteca Nazionale. Invitammo Anna Maria Tatò (scomparsa nel 2022, ndr), l’ultima compagna di Marcello, che parlò a lungo di Mastroianni nell’incontro pubblico e rilasciò molte interviste sul suo rapporto con lui.

Ha apprezzato Marcello mio, interpretato da sua figlia Chiara, dove la vediamo nei panni di suo padre?

Posso solo dire che mi ha riportato indietro nel tempo, attraverso una serie di impressioni e immagini, quelle immagini che hanno fatto di Marcello un mito senza tempo.

Se dovesse scegliere i suoi tre film preferiti con Mastroianni?

Difficile rispondere, dovrei citare tutti i 40 film scelti per la retrospettiva. Ma se mi costringe a citarne solo alcuni le direi (quasi ovviamente) La dolce vita e di Fellini, Una giornata particolare di Scola, I compagni di Monicelli. Ma anche Oci ciornie di Michalkov.

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