#UFFF2: Fela, il mio dio vivente, la recensione del documentario di Daniele Vicari

Tra film nei film e immagini frammentate, le vite dell’autore televisivo e videoartista Michele Avantario e del musicista nigeriano Fela Anikulapo Kuti, «the one and only Black President of Africa», si incrociano in un’incredibile storia dall’atmosfera magica. Fela, il mio dio vivente (trailer) non è un documentario su Avantario come non lo è su Kuti, ma è un mosaico di momenti che i due artisti hanno condiviso nel corso di spazi e tempi dilatati e mutevoli, contaminati dai differenti contesti socio-politici di Italia e Nigeria, e dove nulla è forma finché il regista, Daniele Vicari, non (ri)ordina stralci di vita unici, rendendo l’archivio di Avantario una preziosa memoria collettiva.

Avantario, appassionato di musica africana, incontra nei primi anni Ottanta a Roma Fela Kuti, uno dei più importanti esponenti dell’afrobeat, genere che unisce la musica tradizionale con funk e jazz. Da qui parte l’andirivieni Roma-Kalakuta di Michele nella speranza di realizzare un lungometraggio di finzione interpretato dallo stesso Kuti. Il regista italiano si scontra così con una realtà opposta a quella conosciuta e con un diverso modo di intendere l’esistenza. È un viaggio narrato in prima persona (dalla voce di Claudio Santamaria) ricostruito da Vicari e dalla sceneggiatrice Greta Scicchittano insieme alla compagna di Michele, Renata di Leone, anche produttrice del documentario.

Fela Kuti è un personaggio circondato da un alone strano e affascinante, soprattutto agli occhi del videoartista italiano. La sua musica dal sentore spirituale contamina chi lo circonda. Quelle vibrazioni e quel suo modo di vivere politicamente lo rendono quasi uno spirito, un Babalawo – un potente sacerdote – che trascende il comprensibile, capace di comunicare attraverso i sogni.

Allora, immersi nelle immagini-ricordo oniriche, seguiamo questo diario di viaggio creato da Avantario. Poi le sue due vite, una in Nigeria, l’altra in Italia (forse più comunicanti di quanto possa sembrare), finché non recupera un film girato, ma mai montato, su Fela Kuti. Lo studia e aspetta di realizzare il suo. Ma Kuti continua a rimandare il tempo delle riprese e il progetto sembra destinato al fallimento.

Continuano ad incastrarsi sempre più livelli narrativi: le vite di Michele, quella dell’artista nigeriano, il film desiderato e quello già esistente, il tutto modellato dal montaggio ritmato di Vicari e dalla musica di Teho Teardo. Anche se il film diretto da Michele Avantario non esiste, esiste invece un qualcosa di più forte: la quotidianità filmata di uno dei più grandi e influenti musicisti della storia. Come foto e video di concerti storicizzati seguiti dai festeggiamenti privati del compleanno di Fela. E nessuno poteva registrare senza il suo consenso. Alla base di questo rapporto, probabilmente, c’era un’immensa fiducia.

È difficile essere un dio vivente, ma è difficile soprattutto costruire un rapporto col dio vivente. Michele Avantario ha realizzato un qualcosa di grande e di importante. E noi gliene siamo grati.

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