Swallowtail Butterfly di Iwai Shunji è un curioso dramma distopico dalle forti tinte cyberpunk, uscito in Giappone nel 1996 e poco noto fuori dal Sol Levante. In un futuro dove lo yen è diventato la moneta più potente del mondo, l’immigrazione clandestina cinese in Giappone ha raggiunto i massimi storici: l’enorme massa di clandestini si raccoglie in un ghetto immenso noto come Yentown, un nome che non indica solo una località, ma anche lo spregio verso i suoi abitanti.
La storia ruota intorno ad alcuni nomadi che vivono ai limiti di questa città e si snoda intorno alla storia d’amore fra un fixer molto sentimentale ed una rocker bellissima dalla voce straordinaria, ma costretta a prostituirsi per vivere. Quando uno yakuza aggredirà troppo violentemente la ragazza, si scateneranno una serie di eventi che porteranno i protagonisti a dover fare i conti con il cadavere del criminale da occultare. Prima di eseguire la sepoltura scopriranno però che nel cadavere si cela un nastro magnetico utilizzabile per ricavare soldi gratis dalle macchine distributrici: una soluzione analogica che si dimostra già in tutto per tutto un vero atto di hacking per acquisire denaro illegalmente. Grazie a questa fortuna la rocker potrà diventare famosa, attirando le attenzioni delle corporazioni discografiche, che cercheranno di fare piazza pulita dei suoi amici per poterla gestire come un prodotto di consumo. Nel mezzo di tutto questo i nostri eroi dovranno vedersela con punk e yakuza di ogni tipo, fino ad uno scontro con alcuni solitari (ex sicari) che torneranno ad esercitare per proteggere i loro amici.
La cosa più interessante del film è che, pur non trattando tematiche cyberpunk, ne rispetta integralmente il genere, utilizzandone le figure chiave. Siamo di fronte ad un prodotto che non solo è compatibile con il genere letterario, ma anche con i suoi più famosi giochi, primo fra tutti il remake del gioco di ruolo noto come Cyberpunk 2077 . Un film che, nonostante si presenti come prodotto nostalgico, oggi è di incredibile attualità perché riprende curiosamente un genere tornato di moda con l’anime Netflix: il videogioco ed il gioco di ruolo. Onestamente il film è davvero interessante e non solo per la sua natura di genere molto peculiare, ma anche per la sua qualità estetica fortemente rappresentativa degli iconici anni ’90. Si tratta davvero di una chicca da collezione che non si può non consigliare a chi ama la letteratura e le produzioni di fantascienza del passato.