Uscito in Giappone il 5 giugno del 1993, Sonatine, il capolavoro di Kitano Takeshi torna finalmente in circolazione grazie ad un brillante restauro del 2022. L’opera che ha reso noto il regista in tutto il mondo è tornata in Italia grazie alla cerimonia di premiazione del Gelso d’oro per la carriera a Kitano Takeshi in occasione del 24° Far East Film Festival. Il regista ha partecipato all’evento da remoto con una diretta proiettata sullo schermo giagnte del Teatro Giovanni da Udine.
Sonatine è uno yakuza movie solo per causa dei suoi personaggi e della sua sinossi basilare, ma la storia trascende molto rapidamente il genere per esplorare il lato umano e infantile dei suoi personaggi creando uno spettacolo di burle e colori che va lontanissimo dai principi originali del genere giapponese. La composizione dell’immagine, la staticità che precede la violenza e la suggestiva esplosione di aggressività dei suoi personaggi costituisce un modello unico nel genere cinematografico
Kitano Takeshi è letteralmente la cultura pop degli anni 90 ed una presenza magnetica e preponderante nell’immaginario collettivo occidentale del Giappone.
L’attività di Kitano spazia dalla commedia manzai, che tanto ispirò l’immaginario occidentale a partire dalla coppia di droidi di Star Wars di George Lucas, fino al cinema poliziesco, il melò e perfino la subcultura cyberpunk. In uno spazio di scelta così ampio non potevamo che cercare di lavorare solo su un timido assaggio del suo universo che arriva a trattare non solo di cinema e televisione ma anche di videogioco, arte e moda.
I personaggi dei film di Kitano portano i segni della violenza tanto all’ esterno quanto all’interno dei loro corpi. Così come Scarface di Howard Hawks i personaggi dannati di Kitano Takeshi sono segnati dalla brutalità che hanno visto, subito e praticato, i segni indelebili del dolore sono espressi anche dal disincanto con cui i suoi personaggi si muovono nello spazio urbano di una Tokyo elettrica, nel silenzio sacrale di una spiaggia deserta oppure in un giardino zen che inevitabilmente andrà violato. La violenza improvvisa, silenziosa e brutale si mostra come un taglio di Fontana su una tela, la composizione perfetta dell’immagine si storpia improvvisamente, muta irreversibilmente diventando lo sfregio sulla bellezza.
C’è un legame metaforico, quasi calligrafico, nell’immaginario giapponese che unisce lo stomaco con la corruzione interiore. In Giappone quando si vuole evidenziare che una persona sta nascondendo qualcosa, che sia un disappunto o che sia una vergogna ci si domanda che cosa abbia nello stomaco. Inoltre, per indicare una persona sleale si dice che abbia lo “stomaco nero”. Non può essere quindi casuale il fatto che gli antichi samurai si recidessero proprio lo stomaco con il rituale di hara – kiri.
In fondo i film di Kitano sanno essere pugni nello stomaco e molto spesso le vittime dei suoi film muoiono per pallottole che bucano il famoso organo nero, come se attraverso questa lacerazione si sviluppasse uno spurgo, una forma di espiazione fisica che redime l’anima, gli sfregi interiori dei personaggi di Kitano sono organi neri che eruttano rabbia e violenza in modi improvvisi come fulmini di notte o come i lampi delle armi da fuoco nell’oscurità di Sonatine e Hana–Bi. I fiori di fuoco di Kitano sono l’espressione della bellezza ma anche della violenza che riscrive la natura delle cose, che monda dalle colpe e che forse salva l’anima dagli sfregi di una vita che può essere nera e amara come lo stomaco di un samurai.