«La Guerra, la guerra non cambia mai…» Cominciava così il famoso monologo di Ron Pearlman all’inizio di Fallout, videogioco di ruolo uscito ormai nel lontano 1997. Da allora l’intero franchise ha, tra alti e bassi, vissuto diverse vite. In questa sua lunga carriera è riuscito, di capitolo in capitolo, a colonizzare l’immaginario di intere generazioni. Grazie ai suoi personaggi, al suo tono unico e soprattutto alla sua ambientazione.
La Wasteland (in Italia Zona Contaminata) è forse l’elemento che più ha stregato i videogiocatori di tutto il mondo, con le sue infinite possibilità e spunti. Non stupisce quindi come, nella nuova ondata di progetti cine-ludici, Fallout sia stato scelto come soggetto per una serie televisiva. Il progetto di Prime Video pareva avere tutti gli elementi allineati a suo favore. Un’ambientazione di indubbio fascino, ancestrale, crudele, perfetta per tantissime storie. Una vera tabula rasa su cui un creativo può disegnare ciò che più lo aggrada.
È anche vero che per sfruttare appieno questa ambientazione sia necessaria molta fantasia. Le storie dei Fallout sono spesso canovacci molto generici, obiettivi dati al giocatore per iniziarli nel mondo. Ricongiungiti con tuo padre, trova l’uomo che ti ha sparato, salva la tua famiglia dalla siccità. La vera intessitura, come nei giochi di ruolo cartacei, è spesso composta dalle scelte adoperate dal giocatore. Ne segue che il vero cuore dell’esperienza sono i cambiamenti radicali che si possono apportare alla zona contaminata e alle sue fazioni. Il tutto è reso ancora più interessante dal fatto che spesso comportarsi in maniera virtuosa è un optional.
In molti avranno tirato un sospiro di sollievo nel vedere tra i produttori il nome di Jonathan Nolan, fratello del famoso regista inglese. Uno sceneggiatore che ha donato al cinema sceneggiature come Memento e il Cavaliere Oscuro, o gli acclamati Person of Interest e Westworld sul versante televisivo. Allo stesso modo però, i dubbi possono sorgere nel vedere come showrunner Geneva Robertson-Dworet, a cui si devono Tomb Raider (2018) e l’insipido Captain Marvel. Un portfolio di alto profilo, ma non particolarmente esaltante. Ma tagliando la testa al toro: come rende Fallout (trailer) sullo schermo?
Ci troviamo in un futuro post-atomico, circa duecento anni dopo una guerra nucleare, tuttora avvolta nel mistero. Il mondo pare essere ridotto ad un immenso deserto, colmo solo di radiazioni, mostruose creature e qualche scarno insediamento. Un western dove indiani e cowboy lasciano il posto a ratti talpa, pericolosi supermutanti e predoni schiavisti pronti a tagliarti la faccia per il puro gusto di poterla indossare. In quest’ambientazione, nel sottosuolo, sono presenti dei Vault, rifugi antiatomici creati dalla Vault-Tec, una gigantesca multinazionale risalente al lontano passato. Luoghi in cui gruppi di persone vivono scollegati dal mondo esterno, che temono e disprezzano, creando in loco il cibo che loro stessi consumeranno.
Questa prima stagione, 8 puntate per un totale circa di 8 ore, segue le vicende di diversi personaggi, storie intrecciate verso un unico finale. Si tratta di un racconto corale, dove l’occhio di bue è calato su una manciata di individui, protagonisti ognuno della propria lotta. Tra questi ampio spazio è dato a Lucy McLean (Ella Purnell), un’ingenua ragazza che a seguito di un matrimonio combinato, si ritrova a dover lasciare il Vault alla ricerca di suo padre (Kyle MacLachlan), rapito da un gruppo di predoni capitanati dalla misteriosa Lee Moldaver (Sarita Choudhury). Sul suo tragitto incontrerà diversi abitanti della zona contaminata, tra cui Il Ghoul (Walton Goggins), un misterioso cacciatore di taglie dal passato tenebroso, Maximus (Aaron Moten), un giovane scudiero proveniente da una setta di miliziani noti come Confraternita D’Acciaio, oppure il Dottor Siggi Wilzig (Michael Emerson), un medico che pare portare nella sua testa una reliquia inestimabile.
La quantità di storie e subplot aperte e mandati avanti è talmente alto da far quasi venire il mal di testa. Non stupisce quindi come, di default, Prime proponga un recap all’inizio di ogni nuovo episodio. In tal senso il contributo creativo di Nolan è davvero evidente. Soprattutto quando, negli episodi più avanzati, ampio spazio viene dedicato a costanti salti temporali tra il presente ed il passato. In queste parentesi vedremo Cooper Howard, un attore di Hollywood degli anni ’50, una sorta di star del Western alla John Wayne, alla ricerca di risposte sulla elusiva e misteriosa Vault-Tec di cui recentemente è diventato testimonial.
Al di là di un’incipit, ben congeniato e che si prende i suoi tempi, seminando concetti di worldbuilding fondamentali e le caratteristiche dei suoi personaggi più importanti, l’esatto opposto accade quando si arriva in vista del finale di stagione. Si riscontra infatti un’accelerazione improvvisa che porta all’accavallarsi di diverse storie secondarie, risolvendone alcune in maniera davvero sbrigativa per arrivare all’effettivo finale “con il fiatone”. Portando lo spettatore a sentirsi come dopo aver corso una maratona con al piede la palla da carcerato. Il finale inoltre, per quanto catartico sul momento, non riesce a nascondere quello che, fin dall’inizio era l’obiettivo di questa prima stagione: prepararsi il campo alla seconda.
Sulla realizzazione tecnica non ci si può certo lamentare. Innumerevoli campi lunghi sui deserti e incredibili vallate dove la natura sta riprendendo terreno poco alla volta. Sterpaglie mosse al vento di un’esplosione lontana kilometri. Cespugli di rovi che percorrono indisturbati piccoli insediamenti urbani. Duelli sotto il sole cocente tra pistoleri e uomini in armatura. Vengono usati in maniera consona tutti i marchi di fabbrica delle produzioni western e post-apocalittiche per dare vita ad una zona contaminata che sembra più viva che mai. Buona parte degli effetti speciali, soprattutto per ricreare le creature irradiate dell’ambientazione, portano a risultati “rivoltanti” esattamente come dovrebbe essere. Unico neo in tal senso è l’utilizzo di alcuni effetti di de-aging su uno degli attori. Un risultato tutt’altro che convincente.
Discorso similare anche per la recitazione del cast. Dei nomi precedentemente citati, sicuramente spicca l’ottima interpretazione di Walter Goggins, già noto al pubblico per il ruolo dello sceriffo Mannix di The Hateful Eight di Quentin Tarantino. Non stupisce che il suo Ghoul sia stato così ben recepito dal pubblico, divenendo sicuramente uno dei volti più amati della serie. Stesso si può dire anche delle varie guest star, come il celeberrimo Kyle MacLachlan, l’antico attore feticcio di David Lynch, o il caso di Matt Berry e Chris Parnell, entrambi in ruoli minori ma dalla presenza sempre interessante.
Un altro punto a favore è senz’altro il comparto sonoro. Da sempre ai paesaggi dei videogiochi di Fallout sono accostati i caldi suoni della musica degli anni ’50. In questo la serie tv non fa altro che perseguire in questa forte scelta estetica, soprattutto accoppiando alle dolci note di Bing Crosby o degli Ink Spots le immagini dei massacri più truculenti che siano venuti in mente allo sceneggiatore della puntata.
In conclusione, cosa dire di Fallout? La scommessa è senz’altro vinta. Al di là di qualche magagna, sicuramente dimenticabile da parte dell’ampio pubblico che l’ha osannata, la serie Prime Video risulta uno squarcio inedito in un’ambientazione rimasta, finora, a esclusivo appannaggio dei videogiocatori di tutto il mondo. Un prodotto che sta sicuramente facendo strage tra chi non conosceva la serie videoludica e che sta facendo urlare di piacere altrettanti appassionati, deliziati da tantissime chicche ed easter eggs.
Allo stesso modo è ovvio che questo sia solo l’inizio. Le fondamenta per altre avventure e storie sono presenti, ora bisogna solo vedere cosa verrà costruito in seguito. Senz’altro è facile attualmente immedesimarsi in un videogiocatore che, di fronte ad una serie come Fallout si possa chiedere quale sia il prossimo mondo videoludico da far conoscere al grande pubblico televisivo: Rapture? Aperture Science? Yharnam? Solo il tempo ce lo potrà dire.