Euphoria è una serie drammatica targata HBO che dopo solo una stagione si posiziona fra i prodotti più interessanti televisivi del panorama americano. Bollata originariamente come teen drama ha dimostrato fin dalla prima puntata la sua carica drammatica, la sua originalità nella costruzione dei personaggi e la sua forza magnetica nel modo di raccontare problematiche adolescenziali estreme. A differenza dei più rassiuranti teen drama la serie HBO è ben lontana dai semplici tormenti di transizione giovanile ma è piuttosto incanalata nell’analisi sociologica e psicologica della tossicodipendenza.
La storia di Rue Bennett (Zendaya) ci consente di esplorare in modo fortemente empatico e coinvolgente il dramma della tossicodipendenza adolescenziale. La lotta quotidiana della protagonista fra il dolore esistenziale, la sua fragilità, la drammatica condizione psicologica e la dipendenza da droghe diventa il campo narrativo di una storia forte e trascinante che non smette mai di rimanere saldamente per terra pur concedendosi parentesi oniriche, momenti musicali e perfino segmenti legati alla scuola del musicall. La raffinatezza e la ricerca estetica non alleggeriscono mai i toni del racconto che ci costringono a prendere atto della condizione di dolore di Rue senza che vi sia mai spazio per una consolatoria soluzione hollywoodiana.
Così come ci viene ricordato dalle conversazioni serrate presenti nell’episodio speciale Trouble Don’t Last Always (collocato dopo la fine della prima stagione e prima dell’inizio della seconda) (trailer) la dipendenza da droghe o alcolici non è una condizione da cui si possa uscire del tutto come una malatia vaccinabile o superabile. La puntata speciale si interroga ed esplora lo stato perpetuamente problematico con cui la protagonista dovrà convivere per tutta la sua esistenza e da cui non potrà mai uscire del tutto. In 45 minuti intensi e scritti da brivido entriamo empaticamente in sintonia con Rue che dovrà convivere perpetuamente con la propria fragilità, consapevole della sua dipendenza, in lotta con essa e con se stessa e nel perpetuo tentativo di “rimanere pulita” per più tempo possibile.
Più è precoce il contatto con la dipendenza più è duratura la lotta e numerose le ricadute, per questa ragione raccontare la vita ed il tormento di una ragazza adolescente apre le porte ad una storia complessa e piena di imprevedibili svolte narrative. Le ragazze come Rue sono destinate a lottare per tutta la loro vita con questo demone. Gli adolescenti che iniziano questo doloroso percorso saranno i più destinati a ricadute e baratri di dolore e la loro fragilità unita alla loro sensibilità ne accentuerà la sofferenza.
Scegliere di raccontare la vita di Rue significa scegliere di dare voce a un dolore silenzioso di fronte al quale normalmente la società si volta e si allontana disturbata. Lo showrunner Sam Levinson è un figlio d’arte, suo padre Barry ha collezionato blockbuster e come regista, un premio Oscar per Rain Man oltre ad altre cinque candidature. Sam si fa notare nel 2010 con la sceneggiatura del film Operation Endgame e l’anno dopo con la sua opera prima da regista Another Happy Day, meno di dieci anni dopo è alla guida di uno dei progetti più intriganti ed innovativi del listino HBO. Questo speciale è stato interamente curato dal suo showrunner che ne ha firmato tanto la regia quanto la sceneggiatura ed è uno dei titoli migliori che il 2020 ci abbia regalato. La puntata scorre senza intoppi e il dialogo fra i due protagonisti centrali è perfettamente ritmato e magistralmente interpretato, ma ovviamente si consiglia, assieme a questo episodio, la visione della prima incredibile stagione che lo precede.
(Al fine di garantire una visione più ampia e consapevole delle problematiche esposte nella puntata speciale abbiamo interpellato chi lavora nel settore dell’assistenza ai tossicodipendenti per questo articolo.)