Arriva anche in Italia la serie che ha fatto parlare di sé per gran parte dell’estate: Euphoria (qui il trailer). Ideato e scritto da Sam Levinson, che dirige personalmente cinque degli otto episodi, è la storia di Rue (Zendaya), un’adolescente alle prese con la tossicodipendenza, che dopo aver passato i mesi estivi in riabilitazione incontra Jules (Hunter Schafer), da poco trasferitasi in città, con la quale stringe un forte legame di amicizia. Benché la storia ruoti intorno a Rue e al suo rapporto con Jules, ampio spazio è lasciato anche a tutti i personaggi che gravitano loro intorno, a cui di volta in volta viene dedicata una puntata, nella quale vengono raccontati eventi significativi dell’infanzia di ciascuno, eventi che in qualche modo hanno avuto un impatto non indifferente nella loro formazione, portandoli ad essere ciò che sono nella serie.
Euphoria parla di adolescenti, ma soprattutto parla agli adolescenti. Sin da subito ciò risulta evidente grazie alla scelta di fornire delle coordinate temporali esatte allo spettatore. Rue nasce tre giorni dopo l’undici settembre duemilauno. Ha esattamente ed esplicitamente l’età del pubblico a cui si rivolge, e detto ad appena trenta secondi dall’inizio della serie suona sì come una premessa, ma soprattutto come una promessa. Tre giorni dopo l’undici settembre, dunque in un mondo che già è stato scosso da uno degli eventi che più ha traumatizzato gli Stati Uniti. Il pianeta è nel caos e Rue con lui. Non stupisce dunque che la giovane protagonista arrivi a parlare della propria nascita come di una sconfitta (“I lost for the first time”), non il momento in cui si viene alla luce, ma quello in cui si viene strappati dal buio ventre materno, dove tutto è calmo. Ed è quella calma che Rue cerca ossessivamente e che trova nell’abuso di sostanze.
È lo Xanax il primo farmaco che vediamo. Il Valium il primo di cui parla Rue. La sua dipendenza ruota intorno agli ansiolitici e già da questo capiamo che la serie si dimostra in grado di mantenere la promessa stretta in precedenza con lo spettatore, perché prima di raccontare i problemi di una generazione li conosce. E risulta fondamentale un approccio del genere, dal momento che il narratore è proprio Rue. Tutto ciò che accade è visto attraverso gli occhi di un’adolescente, con tutto il bene e il male che questo comporta. Ma è soprattutto la parte del bene a rendere la serie interessante, perché la generazione di cui parla Euphoria è una generazione perfettamente in grado di capire ad esempio che la sessualità è uno spettro, di accettare tranquillamente la disforia di genere (d’altronde è la stessa generazione che qualche tempo fa accusò Friends di sessismo e omofobia) e tutto questo si riflette nella varie puntate, positivamente.
Da tutto ciò risulta una serie travolgente che grazie al sarcasmo e all’ironia di Rue riesce anche a divertire, perché Euphoria è all’altezza del suo nome, è euforia pura, in tutto quanto: nel montaggio, nella fotografia, nel trucco persino. E in mezzo a questo marasma di colori, di musiche e sì, anche di droghe, Euphoria è addirittura in grado di insegnare qualcosa, perché non ha la pretesa di farlo, o quantomeno sembra non averla.