Ethos (in turco: Bir Başkadır) (trailer), ideata e diretta da Berkun Oya, è disponibile dal 20 Novembre 2020 su Netflix. La serie è uno stupendo affresco dell’odierna Turchia, con le sue contraddizioni e i suoi problemi sociali. Tuttavia, il mondo che Berkun Oya ci presenta è anche una dimensione che paralizza e inghiotte i personaggi dal loro interno, in quanto assistiamo infatti ad un processo di consunzione emotiva innescata da conflitti inesplorati. Saranno però proprio questi a fungere poi da catalizzatori per una migliore comprensione di un sé di junghiana memoria.
Con una seduta psicoanalitica si apre la prima puntata della serie. Meryem (superbamente interpretata da Öykü Karayel), è una giovane donna islamica affetta da inspiegabili svenimenti, visitata da Peri (Defne Kayalar), raffinata ma rigida psichiatra. Il colloquio tra le due delinea sin da subito la spaccatura sociale tra i personaggi, la distanza tra due mondi differenti. Ad una Turchia islamica, fatta di regole e di propri riferimenti comunitari, si contrappone una Turchia colta, allineata col mondo occidentale ed estremamente giudicante.
In una differente seduta psicanalitica tra la stessa Peri e la sua supervisior Gülbin (Tülin Özen) tutto è ribaltato. Ora è la stessa Peri ad essere scrutata, analizzata e giudicata. Le vicende dei personaggi si intrecciano quindi in un gioco ad incastro che ricorda Magnolia (1999). La storia di ogni personaggio è inglobata nella storia degli altri, come in una serie di scatole cinesi, come parti di una stessa umanità.
Un altro personaggio fondamentale è Ruhiye (Funda Eryiğit), moglie del fratello di Meryem, Yasin (Fatih Artman), affetta da una forte depressione. La malattia è provocata dal fatto di dover fare i conti con il ricordo di un evento passato. Sarà possibile ricominciare a vivere soltanto tornando al proprio villaggio, metafora della nostra vera natura e di un passato non accettato. Come in una reazione a catena, le azioni e le vittorie esistenziali di Ruhiye si ripercuotono sugli altri. Quello che rende Ethos una serie eccezionale è infatti il modo in cui viene mostrato questo profondo, anche se non consapevole, legame tra i personaggi (questa è una connessione che Jung definirebbe Inconscio collettivo).
Berkun Oya dirige delicatamente la macchina da presa con intensi primi piani e con l’uso del campo-controcampo. In tal modo ci obbliga a porre la massima attenzione alle espressioni del viso, per coglierne anche i più piccoli cambiamenti espressivi. L’attenzione ai dettagli fisici porta spesso ad inquadrature ravvicinate su mani o piedi, quasi come in un Pickpocket (1959) bressoniano. Inoltre, l’insistente utilizzo dello zoom in e dello zoom out ci avvicina ed allontana dalle situazioni e dai personaggi. Il nostro punto di vista è quindi destabilizzato. Possiamo infatti credere allo stesso tempo di avere uno sguardo privilegiato sulle vicende narrate così come poi siamo in grado di separarcene.
Altra protagonista della serie è la musica, affidata alla composizione di Cem Yılmaz alla quale si aggiunge anche il ritrovare brani musicali estremamente lirici e malinconici (Francis Lai e Franck Pourcel). In corrispondenza di tali inserti si inseriscono i momenti drammaturgicamente più importanti per lo svolgimento delle vicende. Scelta insolita è inoltre il grande spazio riservato ai titoli di coda di ogni puntata, dove ci vengono presentati spezzoni di vecchie esibizioni del cantante Ferdi Özbeğen, popolarissimo in Turchia.
Ethos è un regalo inaspettato, un tuffo in un luogo forse dimenticato, cioè dentro noi stessi, dentro una condizione esistenziale universale. Ma a dirla tutta, un regalo forse ancora più grande, Berkun Oya potrebbe farcelo con una seconda stagione.