Quando pensiamo al nome A Star Is Born, la prima cosa che ci viene in mente è sicuramente la canzone-Oscar Shallow cantata da Lady Gaga e Bradley Cooper nel film del 2018. Almeno una volta nella nostra vita abbiamo sentito quel pezzo in radio o su Spotify tra i brani consigliati. Insomma, il film capolavoro scritto e diretto proprio da Cooper, è entrato nell’immaginario collettivo come uno dei più bei film della storia del cinema. Ma vi siete mai chiesti se è stato soltanto questo film a far nascere una star?
Vi stupirete a sapere che la risposta è no. Difatti, la pellicola del 2018 altro non è che il quarto (per ora) remake nato dall’omonimo film È nata una stella (e quest’ultimo attinge la trama dalla pellicola del 1932 di George Cukor, What Price Hollywood?). La pellicola distribuita dalla United Artists, con la regia di William A. Wellman, fu trasmessa in anteprima il 20 aprile 1937 a Los Angeles e successivamente uscì nelle sale cinematografiche statunitensi una settimana dopo. Parliamo oramai di ottantacinque anni fa, epoca in cui veniva usato per le prime volte il Technicolor e Wellman lo sfrutta al massimo per favorire il successo del film. Inoltre, la complicità dei due divi Janet Gaynor (Vicki Lester), già premio Oscar nel 1929, e Fredric March (Norman Maine), Oscar nel 1932, porta il melodramma alla vincita dell’Oscar al miglior soggetto nel 1938.
Successivamente al grande successo di Wellman, nel 1954 George Cukor porta in scena il secondo remake: primo della sua filmografia in maniera musicale ed a colori. Dopo 15 anni da Il Mago di Oz, è proprio Judy Garland ad interpretare la parte della protagonista vincendo a sua volta un Golden Globe come migliore attrice. E non è finita qui, nel 1976 Frank Pierson distribuisce il terzo remake con due attori che hanno portato la canzone Evergreen in cima alle classifiche per settimane: Barbra Streisand e Kris Kristofferson.
Insomma, inutile dire che c’è sempre qualcuno che ha voglia di portare sul grande schermo le vicende di una ragazza che aspira di salire su un palcoscenico per dare forma ai propri sogni. Questi ultimi diventano realtà non soltanto nel film in quanto proprio dopo l’uscita nelle sale si da vita ad un vero e proprio divismo che porta gli attori ad essere idolatrati per anni dai propri fan fino a creare quello che oggi chiameremmo una fanfiction (ad esempio quella che contorna Cooper e Gaga ogni volta che cantano Shallow su un palco). Nel 2018 è stata più che scontata questa forma di divinizzazione degli attori ma, facendo un salto indietro e tornando al 1937, sembra quasi che il film sia uno dei primi a fare capolino nello star-system.
Difatti, gli anni che vanno dal 1930 al 1950 rappresentano il periodo d’oro del cinema hollywoodiano con annessa nascita del divismo cinematografico che permette alle star di entrare nei cuori e nelle case delle persone, quasi come fossero dei vicini o dei parenti, venendo idolatrati come prima si faceva con le immaginette sacre. Si instaura un vero e proprio marketing intorno alle diverse personalità che da vita alla creazione di gadget, riviste e foto autografate che a loro volta arricchiscono le case di produzione che nei divi vedevano una vera e propria fonte di guadagno. Naturalmente, il fenomeno venne e viene ancora sfruttato aggiungendosi in maniera concreta alla sponsorizzazione e pubblicità di un film. La parola “divo” inizia a farsi spazio in quegli anni e la gente comune non aspira ad altro che a quella vita e a quel successo.
Non a caso, in tutti e quattro i film l’elemento onnipresente è proprio il sogno hollywoodiano ed il bisogno di voler diventare qualcuno. Nel primo film del 1937, ad esempio, vi è un chiaro riferimento al mondo del cinema e a quell’aura di mistero ed emozione che contorna la scena. Le battute iniziali tendono ad avere un rimando continuo al sogno di Vicki (Janet Gaynor), ragazza di paese, che per i primi cinque minuti ripete incessantemente di voler spiccare il volo e di conquistare quella che diventerà poi la sua terra: Hollywood. Sappiamo bene che la città delle stelle è ricca di ambizioni ma anche di illusioni che portano gli aspiranti attori ad innalzarsi nel cielo più blu per poi cadere giù senza paracadute: è proprio il caso di dire “dalle stelle alle stalle”.
Dunque, l’intreccio dei remake è simile: vi sono divi che aiutano altri divi; in questo caso una coppia che prova a salvarsi dai propri demoni (fatta eccezione per il film del 1974, girato in chiave altamente femminista in cui la Streisand continua la propria carriera non pensando alle paure che infliggono il suo lui). Il quartetto di remake ricorda sempre sul finale l’attore che non vi è più sullo schermo ma che viene celebrato attraverso la musica; è il caso di Esther Hoffman (Barbra Streisand) che canta proprio per ricordarlo, così come fa Ally (Lady Gaga) dopo la morte del suo adorato Jackson Maine (Bradley Cooper). Nel film del ’37 invece Vicki si mette in gioco e risplende grazie ad un segno terreno, un’impronta forse metaforicamente mandata dallo stesso Norman sulla Walk Of Fame.
È bello ed inusuale pensare che non vi sia un accenno di invidia o gelosia che trapela nella coppia di divi; vi è soltanto un velo di nostalgia che viene portata sullo schermo grazie ai primi piani che inquadrano dritto negli occhi la stella che perde la sua luce. Ad esempio, nel film di Wellman che proprio oggi compie ottantacinque candeline, il regista ci fa notare attraverso dei montaggi alternati come Norman diventa sempre più una fiammella che pian piano si spegne completamente così come il sole che tramontando si immerge nel mare salutando il giorno ormai passato. Anche i giochi di luce che contornano la scena sono di continuo rimando al mondo del cinema. Con Vicki Lester notiamo che i riflettori sono sempre puntati su di lei, il “chiaro scuro” evidente nella prima parte della pellicola lascia il posto a toni sempre più accesi… non a caso ci troviamo nella città delle stelle!
Il film ha espresso pienamente il senso del mondo dello spettacolo facendoci soffermare sulla vita abbastanza inusuale ma allo stesso tempo normale delle star che proprio come la gente comune hanno momenti di down ma che poi si trasformano in una totale rinascita. Difatti, Vicki Lester negli ultimi minuti della pellicola riemerge indossando un abito bianco, lucente, chiaro e splendente. La rinascita è avvenuta, il successo può continuare. Noi lo sappiamo bene, il bianco è il colore che riflette più luce e proprio una di quelle luci pensava di diventare una stella e così è stato. Vicki è riuscita a far nascere la stella che era in lei e di anno in anno ha dato vita ad una costellazione… di stelle e remake!