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Nonostante il titolo di questo documentario sia Duse: The greatest (trailer), le protagoniste sono ben due: la prima è appunto Eleonora Duse, la misteriosa attrice ormai entrata nella storia del teatro, l’altra invece è Sonia Bergamasco, autrice a tutto tondo di questa indagine che percorre l’Italia, il teatro, e il cinema in lungo e in largo. Infatti, la connessione fra Bergamasco, che in questo caso veste per la prima volta i panni di regista, e il soggetto del film, ovvero proprio l’attrice del titolo, è chiara fin dall’inizio: una vera e propria dichiarazione di poetica. D’altronde non è difficile comprendere quanto possa essere importante per una donna del mestiere come Sonia Bergamasco, o per le altre attrici intervistate nel documentario, l’esistenza di una figura come Eleonora, che prima di essere una grande attrice era una grande donna, vissuta non per caso agli albori del femminismo.
Tutti questi temi vengono affrontati con variazioni costanti fra interviste realizzate ad hoc, altre invece riprese da testimoni diretti dei tempi dell’attrice, foto e filmati dell’epoca, e non dimentichiamoci le meravigliose riprese dei paesaggi in cui ha vissuto e lavorato Eleonora. Si crea dunque un misto fra presente e passato, che più che ad un documentario fa pensare ad una poesia fatta d’immagini, il che è in linea con il pensiero di Duse sul cinema. Questo pensiero viene proprio riportato nel film: difatti l’attrice, che durante la Prima Guerra Mondiale aveva passato molto tempo al cinematografo, riteneva che il cinema non servisse ad adattare romanzi, ma poesie. Senza saperlo aveva già teorizzato ciò che tutte le grandi avanguardie cercheranno di raggiungere nel corso del ‘900. E questo è solo uno dei tantissimi segreti su di lei che emergono dalla ricerca.
La sensazione che si ha uscendo dalla sala è quella di conoscere Eleonora Duse come una propria amica. La sua figura misteriosa aleggia su tutto il film, che cerca quasi di sbirciare attraverso la serratura del tempo per potersi aggrappare anche solo alla minima informazione su di lei. E nonostante questo, la sua immagine, la sua idea, vivono ed escono dal grande schermo per sedersi accanto a noi. Il fatto che il soggetto della ricerca sia vissuto talmente tanto tempo fa che non sono rimasti testimoni oculari costringe l’autrice a spostarsi continuamente, a cercare le sue tracce nei posti più impensabili. D’altronde Duse stessa chiese alla figlia di bruciare molte delle lettere scritte da lei dopo la sua morte, quasi a sfidare i posteri che volessero cercare di svelare i suoi segreti.
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Nel corso della pellicola sentiamo e leggiamo le sue parole, viaggiamo attraverso i suoi luoghi, come se della grande attrice ci fosse tutto tranne lei stessa in carne ed ossa. Per questo non sorprende la piccola parentesi paranormale, riferita ai numerosi avvistamenti del suo fantasma. Sembra quasi che Eleonora stessa si sia prestata a partecipare al documentario, sia diventata parte del cast, e abbia guidato la troupe alla scoperta del passato.
Dopo le prime sequenze anche lo spettatore comincia a sentire la stessa fame di conoscenza che deve aver stimolato la regista, e diventa parte stessa dell’indagine. E questa sensazione è trasmessa perfettamente a livello stilistico dai numerosi elementi stilistici della regia, dalla shaky-cam alle perdite e riprese del fuoco, dagli zoom-in agli echi delle voci degli intervistati, diventati anch’essi quasi dei fantasmi di un lontano passato. Speriamo dunque che per Sonia Bergamasco questo esordio registico non sia solo una parentesi, ma un piacevole nuovo inizio nella sua carriera.
Dal 3 febbraio al cinema.