Novembre 1970. Dovlatov (- Milan Maric – oggi considerato tra i più importanti scrittori russi degli ultimi 25 anni), mezzo ebreo e mezzo armeno, ci ricorda fin da subito come gli anni 60, il disgelo e la relativa libertà che ne era conseguita, sono finiti. Un nuovo gelo è iniziato e il divertimento è finito. Lo scrittore si aggira per Leningrado, cerca di far pubblicare qualche articolo ma si ritrova sempre a doversi confrontare con l’ostracismo di chi vuole che scriva storie ottimiste su eroi del popolo, mentre lui si batte per una letteratura senza eroi e senza distinzione manichee tra buoni e cattivi, giusto o sbagliato.
È un padre non sempre attento (non si accorge che la figlia ha la sinusite, anche se cerca in tutti i modi di comprarle una bambola), sull’orlo del divorzio e amato dalle donne. La sua priorità, fin dagli 8 anni, è stata quello di diventare uno scrittore, eppure non riesce a scrivere un romanzo. Non è comunque solo e a condividere la sua condizione sono altri scrittori, pittori e artisti a cui viene costantemente negata la possibilità di far sentire la propria voce, tra cui il poeta Brodsky (Artur Beschastny) che morirà negli Stati Uniti dopo esser stato espulso dall’URSS nel ’72. Ci si incontra nei salotti dove si discute e si beve, con un’aria stanca ma mai doma, ancora con la forza di guardare al futuro.
La Russia che Aleksej German Jr. mette in scena si trova in una sorta di zona liminale dove è ancora tutto da decidere. Nonostante le censure ci sono ancora le eco del disgelo, repressione e fermento intellettuale e artistico convivono anche se molto poco pacificamente. Si tenta di procurarsi libri stranieri (Joyce, Nabokov, Steinbeck) in banconi illegali, che sono anche perfetti bersagli per il KBG (e Dovlatov si fingerà funzionario). In un cantiere navale trasformato in set in vista della realizzazione di un film per celebrare l’anniversario della nascita dell’Unione Sovietica, Dovlatov incontra attori/operai che interpretano Dostoevskij, Puskin, Tolstoj, ma i nomi vengono spesso storpiati. Ecco che l’arte, un tempo bandita e non ancora assimilata nel patrimonio culturale viene riabilitata per essere trasformata in strumento al servizio del potere e della politica.
E visto che la realtà viene sempre negata dalle autorità, German Jr. getta gli esterni in una nebbia fittissima e segue il protagonista in fluidi piani-sequenza che determinano una costante oscillazione tra realtà e dimensione fantasmatica, memore anche della lezione di registi come Tarkovskij, Antonioni e Fellini. Dovlatov dunque non si arrende, rifiuta il compromesso, finge indifferenza o risponde con ironia, fa la cosa più difficile di tutte, non è (ancora) nessuno ma ha il coraggio di essere sé stesso e restare fedele a ciò in cui crede. E qui scatta anche il più facile dei parallelismi con Aleksej German, padre del regista, anch’egli ostracizzato, tanto da dover vedere i propri film congelati per 15 anni, ma mai arrendevole e sempre combattivo (gli stessi Dovlatov erano vicini dei German e il periodo in cui lo scrittore non veniva pubblicato e i film del regista non venivano proiettati in patria era lo stesso).
In Under Electric Clouds (2015), German Jr immaginava un futuro prossimo (2017) per rendere conto di una Russia ridotta a grosso cantiere, incapace di fare i conti con il proprio passato e di immaginare un possibile futuro, dove l’uomo ha perso qualsiasi senso del rapporto con lo spazio e con il tempo, diventati sempre più indeterminati, fluidi e inafferrabili, concludendo comunque su una nota di speranza, con un finale che era già Felliniano. In Dovlatov parte dal passato per riflettere inevitabilmente anche sul presente.
E a proposito di ostracismo a cui va incontro il mondo intellettuale, non può non venire in mente il recente caso che ha visto coinvolto il regista Serebrennikov, condannato a 3 anni di carcere (con la condizionale), il divieto di dirigere un’istituzione culturale e una multa di diecimila euro in seguito all’accusa di frode nei confronti del ministero della cultura. Che parafrasato vuol dire: non accettiamo registi critici verso l’autoritarismo di Putin e magari anche schierati a favore dei diritti delle comunità Lgbtq+.
Dovlatov – I libri invisibili (trailer) esce in Italia con 3 anni di ritardo (meglio tardi che mai), dopo che nel 2018 era stato premiato con l’Orso d’argento al Festival di Berlino, e nonostante sconti qualche lungaggine nella parte centrale e delle sottolineature di troppo (la macchina da presa che resta per un momento fissa sul sangue di uno scrittore che ha appena tentato il suicidio; il primo piano del pittore Vinogradov morente, dopo essere stato investito), merita la visione, soprattutto in sala.