Su quale fronte Dove la Terra Trema (Earthquake Bird) voglia posizionarsi potremmo far finta di interrogarci almeno un po’. E’ un thriller? Un thriller psicologico? Un racconto di pulsioni sopite e represse? In verità il film, distribuito su Netflix dal 15 novembre, tutte queste cose è il primo a non saperle.
Dove la Terra Trema trae il suo soggetto dal romanzo di Susanna Jones ed è diretto e sceneggiato da Wash Westmoreland, che dall’inizio alla fine ignora quale struttura ossea assegnare alla pellicola, la quale finisce inevitabilmente per agglomerarsi sul pavimento senza uno scheletro che la supporti. C’è da dire che le prime battute, per quanto non esaltanti, perlomeno lasciano intravedere uno spunto che non si perde in fronzoli. C’è una Tokyo di fine anni ’80 (anche se l’impianto scenografico fa davvero poco per ricordarcelo), ci sono i due protagonisti “fuori dal comune” (i frigidi Alicia Vikander, Naoki Kobayashi), c’è una macchina fotografica il cui obiettivo è strumento eroticizzante (Rear Window chi?).
E la prima mezz’ora, per quanto annacquata, presenta una parvenza di linea semantica uniforme. Si ruota attorno l’incontro di due anime che per diverse ragioni vivono sospese nel rigido ambiente che le circonda, trovando nelle atipiche sessioni di fotografia un nervo da condividere. A tratti sfiora l’interessante il modo in cui è compresso il discorso della sessualità nel rigido strato culturale giapponese, ma è una sensazione che svanisce presto spazzata via da una confusione crescente col passare dei minuti. La regia di Westmoreland accarezza per alcuni istanti l’idea di incastonare il disagio dei suoi interpreti nella fissità delle inquadrature, salvo poi dimenticarsene, puntualmente, nel frame successivo. Complice senza dubbio una fotografia talmente anonima da risultare inesistente, svogliata e prima carnefice dell’appiattimento artistico di un film che non sa quali pesci pigliare.
Nello specifico, Dove la Terra Trema cola a picco quando fa il suo ingresso in scena il terzo personaggio della storia (Riley Keough). La ragazza venuta dagli States dovrebbe essere il nuovo ago della bilancia, la nuova arrivata che sposta equilibri e fa saltare ogni dinamica. A saltare, invece, è proprio la pellicola, che da qui in poi inizia a correre dietro a dieci idee differenti, afferrandone mezza e non azzeccandone nessuna. Quello che dovrebbe configurarsi come un climax emotivo e di tensione nel rapporto a tre venutosi a formare, finisce per rivelarsi solamente come una escalation di scarsa coordinazione e di discesa in un nonsense che culmina in un finale arraffato nel più totale sonno creativo. E forse, anche in quello della ragione.