Double Indemnity: non avremo i soldi e non avremo le donne

«I killed him for money and for a woman. I didn’t get the money… and I didn’t get the woman» con queste parole Walter Neff dà avvio alla narrazione di Double Indemnity (trailer), di Billy Wilder, film del 1944. 

Il film viene considerato l’opera che meglio dà forma al genere noir, non fosse, per l’influenza dell’espressionismo tedesco nella formazione cinematografica di Wilder. Il regista, infatti, di origini viennesi lavora tra Parigi e Berlino, prima delle leggi razziali che lo portano a trasferirsi a Hollywood, dove inizia una collaborazione lavorativa con Howard Hawks ed Ernst Lubitsch, che visse lo stesso destino di espatriato. Per questi ultimi, Wilder inizia a lavorare come sceneggiatore ma dalla loro maestria impara anche le tecniche registiche che lo accompagneranno lungo il corso della sua carriera. Le inquadrature chiare, facilmente leggibili, che non lasciano niente di oscuro, si sposano perfettamente con la scrittura altrettanto diretta e comprensibile per lo spettatore

La spaesamento del soggetto; la malinconia per il tempo della modernità; l’ambientazione metropolitana; le luci chiaroscurali; la presenza di una femme fatale dalla quale l’uomo viene manipolato; tratti del genere thriller. Tutti questi elementi, tipici del genere noir, sono rintracciabili in quella sola battuta costruita magistralmente da Wilder e Raymond Chandler – che insieme al regista collaborò alla scrittura del film. Un caso unico – e una collaborazione poco felice – perché lo storico collaboratore di Wilder fu I.A.L. Diamond, con il quale scrisse capolavori di commedie come Some Likes It Hot (1959), The Apartment (1960). Mentre, Double Indemnity si configura come il primo dei quattro drammi del regista – non per importanza, ma per cronologia; ricordiamo che il secondo è Sunset Boulevard (1945) che non si potrebbe considerare di inferiore qualità, neanche guardandolo ad occhi chiusi. Ma facciamo un passo indietro.

Double Indemnity è tratto dall’omonimo romanzo di James. M. Cain, del 1943. Lo stesso anno del film firmato dal viennese uscì Murder my Sweet diretto da E. Dmytryk e tratto dal romanzo Farewell My Lovely di Raymond Chandler, dove il protagonista è il famoso detective Marlow; questo dato è rilevante nella misura in cui ritroviamo anche in questo caso l’espediente narrativo del flashback, che anche in Double Indemnity ci introduce alla narrazione. La confessione al magnetofono, infatti, si pone come l’incipit che subito incuriosisce lo spettatore a chiedersi come mai il personaggio di trova in questa situazione? Cosa sarà successo? Cosa lo ha ferito? E Per quale motivo? «Per caso» è la risposta che è stata avanzata. La casualità è l’espediente che Wilder utilizza per dare avvio alla sua messa in scena; la sceneggiatura, di contro, non lascia niente al caso: strutturata in modo tale da poter manovrare anche l’accidentalità, rendendola narrativamente verosimile e semplice da comprendere per lo spettatore.  Se in Sunset Boulevard, il protagonista Joe Gillis inizia il suo racconto con un flashback che parte addirittura dall’oltretomba – meraviglioso! – Walter Neff (Fred MacMurray) può dirsi fortunato nel poter ancora respirare. Certo è, che la sua carriera è distrutta per sempre. 

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L’espediente narrativo del flashback rientra tra i canoni del cinema noir, in quanto sovverte le strutture narrative cronologiche del cinema classico degli anni Trenta. Negli anni Quaranta i personaggi iniziano ad essere mostrati nei loro dissidi e contraddizioni, nella continua lotta tra conscio e inconscio freudiani. S’indaga lo spaesamento e il senso di non riconoscere e appartenere più allo spazio circostante, quello che viene abitato. Spesso, fino a circa il 1946, le ambientazioni sono pressocché interne, dove il personaggio è sovrastato da uno spazio angusto e claustrofobico; ad eccezione delle ambientazioni di ricostruzione metropolitana dove lo spazio attraversato dall’uomo non è più funzionale ai movimenti del suo corpo ma risponde a dei bisogni di ordine economico e sociale. Obiettivo dell’uomo metropolitano diventa quello di elevarsi salendo i gradini della scala sociale, in un dissidio costante della morale, avvalorato dalle figure delle donne, viste come un surplus a quella ricchezza che porta con sé il denaro. Pensiamo a Sunset Boulevard: la prima inquadratura del film è un cartello stradale che ci informa subito di dove siamo. Non è un caso che i film noir abbiamo messo in risalto i panorami variegati di Los Angeles. Nel 2001 David Lynch, nel suo universo citazionistico, ripropone la stessa immagine iniziale del cartello in Mulholland Drive. 

Flashback e spazi urbani, vengono utilizzati anche come collegamenti narrativi per muoversi in un tempo che varia tra il passato e il presente, destrutturando la storia come vengono destrutturati gli animi dei personaggi. Wilder, struttura questi ultimi, come soggetti alle tematiche del doppio, del travestimento, di una società capitalista che sovverte le priorità morali del cittadino americano medio. 

Come la critica fece al tempo, non possiamo non menzionare la bravissima Barbara Stanwyck, nel ruolo di Phyllis, la femme fatale che manipola Neff fino a condurlo all’omicidio e la cui immagine di donna/vampiro viene riconsegnata dalla fisicità dell’attrice – che senza saperlo avrebbe dato vita alla figura della «dark lady», figura che si sarebbe, poi, voluta sempre trovare nel noir – e da uno sguardo che sembra in perenne stato di sonnolenza. Ma sotto quelle palpebre semi chiuse, ci sono due occhi spietati e di una sensualità misteriosa e seducente che, come dichiarò Wilder stesso nell’intervista a Crowe, «tutto in lei grida al delitto». Durante l’intervista il regista spiega che il personaggio della donna fu scritto pensando proprio alla Stanwyck e che rimase impressionato e felicemente soddisfatto di vedere l’attrice sempre preparata, confermando l’intuizione che aveva avuto nel volerla per il film. Con una risata genuina, invece, inizia la collaborazione con Fred MacMurray, all’epoca giovane attore esordiente per la Paramount, al quale il regista sottopose il copione alla sua attenzione ma che, dopo averlo letto, racconta Wilder, Fred avrebbe sostenuto che non avrebbe potuto interpretare quella parte per la quale ci sarebbe voluto un vero attore. Anche in questo caso, Billy aveva ragione. 


BIBLIOGRAFIA

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