«Ci siamo domandati allora dove fossero quei cineasti, artisti, scrittori divisi e riseminati altrove. Abbiamo deciso di offrire loro un luogo, questo luogo, il Centro Sperimentale di Cinematografia, che per tre giorni diventa una casa comune dove raccogliere ciò che è stato disperso delle loro idee, dei loro progetti e delle loro frustrazioni. Ricomporre la diaspora degli artisti». Queste le parole del neo-presidente Sergio Castellitto nel presentare Diaspora degli artisti in guerra (programma), l’evento a carattere culturale e formativo che si è tenuto presso la sede del CSC in Roma nelle giornate del 19, 20 e 21 giugno 2024.
Finanziato dal programma NextGeneration dell’Unione Europea, l’evento è stato prioritariamente pensato per gli studenti di cinema che hanno affollato il Teatro Blasetti, l’Aula Magna e la Sala Cinema. Qui si sono svolte una serie di proiezioni e di incontri con registi, produttori, scrittori e artisti che, durante la loro carriera, hanno sentito la necessità di affrontare la tematica della guerra, anche ponendosi in situazioni scomode nei propri paesi di origine. Seppur minoritario, un pubblico di età più adulta, soprattutto di docenti, ha arricchito e favorito l’incontro tra generazioni.
La prima giornata è stata inaugurata da Sergio Castellitto che, durante tutto l’evento, da ottimo padrone di casa, ha spesso aperto le proiezioni ed è rimasto tra i corridoi e gli atri arricchiti dalla mostra fotografica La diaspora delle donne – curata da Antonella Felicioni – e le scene dei grandi film italiani sulla guerra. La diaspora dei cineasti è il titolo della giornata del 19 giugno. Dall’Ucraina al Medio Oriente o al Ciad, i registi ospiti hanno presentato i film che hanno girato sul proprio paese di origine. Hanno ragionato assieme agli studenti su come le immagini possono rappresentare eventi tragici o i drammi di un popolo, su cosa può fare il cinema in queste situazioni e, in quanto media, come può puntare i riflettori sul non-raccontato.
Nella seconda giornata è stata la volta dello Sguardo del cinema italiano sulle guerre. Tra questi cineasti troviamo chi si è infiltrato nelle zone di guerra per filmare, come ha fatto Stefano Savona per il suo La Strada dei Samouni. Ma anche chi ha lavorato sull’archivio per mostrare la relazione ultracentenaria tra cinema e guerra, come fatto da Massimo D’Anolfi e Martina Parenti in Guerra e pace. Nel pomeriggio i film presentavano come fil rouge il tema della famiglia spezzata e, nello specifico, il punto di vista dei bambini sottoposti alla violenza e all’odio. Chiude la giornata l’incontro con l’israeliano Rami Elhanan e il palestinese Bassam Aramin, due padri che hanno perso le figlie a causa della guerra e insieme cercano una via per seppellire l’odio.
Nei paesi in guerra è il titolo dell’ultima giornata dell’evento. Si è aperta con l’incontro con Hagai Levi, che ha annunciato il suo prossimo progetto: una serie tv sull’occupazione nazista di Amsterdam nel 1941 ma che avrà elementi di contemporaneità. I cineasti dei film di questa giornata interrogano il potere e discutono come, sull’indifferenza dei potenti, si siano consumati genocidi e inasprite le tensioni sociali dei popoli. Su questa linea, l’evento si è concluso con la proiezione di Fairytale di Aleksandr Sokurov, un’opera sulla follia del potere che fa convivere insieme Stalin, Mussolini, Hitler e Churchill. Sokurov, in chiusura, ha riflettuto sulla situazione mondiale odierna, tra guerre e crisi climatica, incoraggiando gli studenti a filmare senza lasciarsi bloccare dallo spavento.
L’evento ha dimostrato, ancora una volta, la capacità che il cinema ha di favorire l’incontro tra generazioni e culture profondamente lontane. Come antidoto alla corsa agli armamenti, questi artisti usano macchine da presa e microfoni per documentare l’orrore della guerra e la soppressione della libertà. Diaspora degli artisti in guerra e il Centro Sperimentale hanno ricordato l’importanza del dialogo come principale cura alla smania del potere che, ancora oggi, provoca conflitti e morte.