Il destino del pirata più famoso del mondo sembra essere quello di stare alla gogna, in ogni dove e in ogni periodo storico. Nel vicinissimo 2022 si rende protagonista di uno dei processi più importanti degli ultimi tempi, il processo Depp v. Heard, che lo vede questa volta nei panni dell’accusa per diffamazione contro l’attrice ed ex moglie Amber Heard.
In un periodo storico delicatissimo per il mondo delle star internazionali come quello del Me Too, anche Johnny Depp finisce nell’occhio del ciclone in seguito alle accuse di violenza domestica da parte di Amber Heard. Eppure questa si rivela ben presto una vicenda drasticamente diversa dagli altri casi di violenza denunciati dal Me Too, e finisce infatti per diventare uno spartiacque nella storia del movimento. Se fosse solo questo il problema generato da questo processo si tratterebbe di una semplice (e neanche troppo) questione di genere e, probabilmente, non ne staremmo parlando qui, ma il processo Depp v. Heard si fa contenitore di innumerevoli altre problematiche tra cui la visibilità mediatica della vita privata di una coppia di attori famosi in tutto il mondo, la proliferazione dei contenuti più variegati attraverso le principali piattaforme online e il loro costante dialogo con lo star system hollywoodiano.
È disponibile su Netflix la docuserie Depp v. Heard (trailer),diretta da Emma Cooper e distribuita su Netflix, che offre una panoramica alquanto singolare sul processo e sull’infinita produzione di contenuti attorno ad esso. Attraverso l’utilizzo di reels, tiktok e live prende vita una sorta di tribunale altro, quello allestito da fan, haters e opinionisti di ogni sorta. Sembra che i due piani, quello del vero processo nella vera aula di tribunale e quello virtuale, non si debbano mai incontrare. D’altronde la giudice è la prima a ricordare ai giurati «di non leggere, guardare o ascoltare niente su social media, blog o siti simili». Eppure sappiamo tutti benissimo quanto sia molto più facile il contrario: la maggior parte delle nostre opinioni si formano proprio in questi ambienti, che abitiamo a volte quanto la realtà esterna ai social.
La docuserie non fa altro che ricordarci sin dai primi istanti lo stretto legame che si viene a formare tra i ruoli interpretati dai due attori e la loro identità sociale nell’immaginario collettivo dei loro seguaci, e lo fa attraverso frequenti rimbalzi tra riprese del processo e clip tratte dalle interpretazioni dei due attori. Impossibile non associare la lentezza e la difficoltà retorica di Johnny Depp a quella del personaggio che l’ha reso più celebre, l’ubriacone Jack Sparrow. Amber Heard, che ha il compito più difficile di svincolarsi da una certa immagine di femme fatale legata ai suoi ruoli più importanti e alle accuse di diffamazione, diventa la più tragica delle martiri. L’unica cosa certa è il dubbio, lo snervante stato confusionale di chi cerca di trovare la verità in un processo che è sin dal primo momento pura rappresentazione.
Lo schermo è un’arma assai tagliente, i due ex coniugi lo sanno entrambi molto bene e ne accettano vantaggi e svantaggi. Depp si sgrava dal peso di certe accuse diventando così il target numero uno dei sostenitori del Me Too, Heard d’altra parte perde il processo e un bel carico di credibilità ma diventa per molti un’eroina tragica, il volto della repressione misogina.
Uno dei punti più critici e delicati del processo è quello in cui si tirano in ballo i problemi psichiatrici di Heard. Depp fa il passo più lungo della gamba e porta in tribunale una psichiatra incaricata di offrire una diagnosi dell’ex moglie. Le parole della dottoressa sono importanti, forse le più importanti di tutto il processo, ma passano in secondo piano con una facilità disarmante. Che cos’è in fondo la malattia mentale? Cosa c’entra ora? E invece è il discrimine fondamentale, perché Johnny Depp e Amber Heard sono attori di fama mondiale e persone, divini e terreni allo stesso tempo, perché nessuno dei due ha una stabilità mentale che gli permette di avere completa credibilità. Mai come in questi casi la maschera dell’attore si rivela un’arma a doppio taglio: essere bravi a metterla non basta, bisogna anche saperla togliere.
Il processo raggiunge così un livello di stratificazione dei linguaggi impressionante: i fenomeni sociali e mediatici in ballo sono così tanti e così intrecciati tra loro che chi segue il processo è bombardato da ogni direzione. Prima di tutto c’è l’aspetto più naif e romantico, la fine di una grande storia d’amore, concretamente parliamo di un processo tra ex coniugi per diffamazione, solo che questi coniugi sono attori famosi in tutto il mondo e uno dei due (Johnny Depp) vuole che tutto il processo venga ripreso e reso pubblico. Poi c’è l’aspetto dei social e delle ramificazioni di questa grande macchina che è la produzione incessante di opinioni, analisi, reazioni, recensioni, riassunti, thread e via dicendo. Infine c’è la grande questione della costruzione di un’immagine (in questo caso ricostruzione da parte di Depp e quasi demolizione da parte di Amber Heard): lo star system si reinventa e invade i tribunali, lo spettatore è confuso ed eccitato al tempo stesso perché osserva il grande attore manifestare gli stessi atteggiamenti dei personaggi da lui interpretati.
Quella di Depp sembra un’operazione di salvaguardia della propria immagine divistica ma soprattutto del suo fandom. Nella maggior parte dei casi le denunce del Me Too spezzano l’incantesimo dello star system, qui invece si vuole dare continuità al discorso sull’immagine di attore stravagante un po’ al limite legata a Depp. L’operazione sembra avere successo, a discapito di Heard che ne esce sconfitta e screditata ma con un forte appoggio da parte del Me Too. Tuttavia non si tratta più di stabilire chi è il vero vincitore tra i due, ma di rendersi conto del peso di questo processo all’interno dei fenomeni sociali e mediali e soprattutto di vedere in questa vicenda un nuovo strumento per lo star system, che in questo modo si riconferma il baluardo del cinema hollywoodiano.