DassCineSummer è una rubrica targata Dasscinemag nata con lo scopo di accompagnarvi nel mese di agosto, offrendovi spunti su film da vedere per arricchire la vostra estate. Storie d’amore, coming of age, film da brivido, da scoprire per la prima volta o da amare di nuovo. Alcuni dei nostri redattori proporranno i film che per loro rappresentano maggiormente la stagione calda. Opere imperdibili unite da un unico filo conduttore: l’estate. Calda, romantica, sorprendente.
IL SORPASSO (1962; Dino Risi)
Roma, giorno di Ferragosto del 1962. La città è deserta, i negozi sono chiusi e la maggior parte dei cittadini è fuggita dal caldo. Bruno invece, interpretato dal grande Vittorio Gassman, al volante della sua emblematica Lancia Aurelia B24 cerca sigarette e un telefono in giro per la Capitale. Fa così la conoscenza di uno studente, Roberto, interpretato dal francese Jean-Louis Trintignant. Preso in simpatia il ragazzo, i due trascorrono la giornata insieme, tra lidi balneari, discorsi sulla vita e corse in auto, fino all’inaspettata quanto tragica conclusione.
Il sorpasso (trailer) di Dino Risi, forse la sua opera più conosciuta e amata, è un monumento agli anni Sessanta, all’Italia del boom economico e del benessere. Il film ha reso memorabili le figure dei due amici che, a bordo della Lancia Aurelia, viaggiano alla ricerca di un qualcosa dal sapore filosofico, irraggiungibile ed effimero. Indimenticabile anche il suono del clacson, citato negli ambiti più differenti. Considerato uno dei manifesti della commedia all’italiana, si tratta di un film profondo e stratificato, in cui gli stereotipi e la piattezza dei personaggi da commedia vengono superati grazie a protagonisti a tutto tondo, con psicologie sviluppate e conflitti di classe ben mascherati, ma che soggiacciono a tutta la trama. Il film, effettivamente girato nei giorni centrali di agosto, è considerato un road-movie da cui, per esempio, il regista statunitense Dennis Hopper prenderà ispirazione per il suo celeberrimo Easy Rider: tuttora, dunque, un pilastro del cinema italiano e uno dei più importanti spaccati sull’Italia degli anni Sessanta.
Di Eleonora Lavia
FERIE D’AGOSTO (1996; Paolo Virzì)
È singolare guardare un film del ’96 e riconoscervi temi e dinamiche riscontrabili nell’attualità; questo è ciò che rende Ferie d’agosto (trailer) di Paolo Virzì, un film estremamente affascinante. Si tratta di una commedia, terreno fertile per denunciare un sentimento latente di infelicità e indolenza, presente sia a livello politico che sociale.
In vacanza sull’isola di Ventotene l’imprenditore Ruggero Mazzalupi (Ennio Fantastichini) ed il giornalista e attivista di sinistra Sandro Molino (Silvio Orlando), con le rispettive famiglie, si ritrovano ad alloggiare a pochi metri di distanza. I due gruppi, fin dai primi istanti, ci vengono presentati come diametralmente opposti: tra televisione, armi e bambini maleducati e paffutelli da un lato e spinelli, relazioni confuse e cori a tarda notte dall’altro. Proprio per questo le due fazioni continuano a gravitarsi intorno, incapaci di viversi la propria vacanza senza dar peso alle abitudini, alle frecciatine e persino alle avances dell’altro.
Il pretesto per fronteggiarsi risulta essere un extracomunitario (Oumar Ba) che, ferito a seguito di un incidente causato da Ruggero, verrà difeso e accudito da Sandro ed i suoi amici. In un dibattito dove non mancano i riferimenti alla politica italiana, Ruggero sembrerebbe prevalere, ma questa vittoria non riporta la pace tra i due che, in fin dei conti, risultano essere più simili di come sembrano dall’esterno.
Di Marina Anzellotti
PANE E TULIPANI (2000; Silvio Soldini)
Pane e tulipani (trailer) ha vari livelli di lettura, ma quello principale, e non tanto sfuggente, è il tema del lasciarsi andare all’irrazionale per ritrovare sé stessi. La spinta che porta Rosalba (Licia Maglietta) a lasciare il suo mondo razionale, formato dalla famiglia, è il non sentirsi importante. L’uomo con cui lega è il cameriere Fernando (Bruno Ganz) che le offre una stanza dove dormire e, inconsciamente, la donna, in cambio, gli fa ritornare la voglia di vivere e di sostituire il cappio con l’amore. È proprio questo amore a convincere la casalinga a lasciare definitivamente la sua famiglia e vivere a Venezia, quel mondo che da fantastico diventa la sua casa.
Lo stile del film sostiene questo irrazionale con un montaggio ellittico ed immagini oniriche che lo rendono un enorme sogno in cui la casualità ha il compito di accentuare il lasciarsi andare verso qualcosa di sconosciuto. Il film di Soldini dichiara che per ritrovare sé stessi ed il proprio posto nel mondo non basta circondarsi di persone a cui si vuole bene, o che danno l’illusione di questo affetto, ma bisogna abbandonarsi a quella follia che a volte rifiutiamo di seguire per paura di uscire dalla nostra zona di comfort, dimenticandoci, in fondo, che in questa vita «siamo solo di passaggio» e che quindi attendere immobili, nell’autogrill della vita, che qualcosa ci capiti, non porta mai a nulla. Bisogna agire e perdersi tra i vicoli del nostro io, o semplicemente tra i vicoli di Venezia, che forse è più facile.
Di Carmine Faiella
CHIAMAMI COL TUO NOME (2018; Luca Guadagnino)
Un sole accecante che brucia la pellicola, i bagni in piscina, i lunghi pranzi in giardino sotto le foglie, le passeggiate tra i monti alla ricerca dell’idillio, la discoteca all’aperto, le biciclette, la noia dei paesini di provincia che d’estate si svuotano e diventano città fantasma. Ma, soprattutto, i corpi nudi e le gocce di sudore che si mescolano in una ricerca continua di noi stessi nell’altro. Questo e molto altro è Chiamami col tuo nome (trailer).
Luca Guadagnino sbanca a Hollywood e fa esplodere la carriera di Timothee Chalamet (candidato all’Oscar a soli 22 anni) con un film su quelle estati italiane afose che sembrano non finire mai, ma poi finiscono e non vorremmo far altro che tornare indietro. Sei fuori dallo spazio e dal tempo, non devi far altro che fermarti e goderti la vita e, allora, in questa parentesi irreale, hai l’occasione di conoscerti e riscoprirti. È così che sboccia l’amore tra Elio e Oliver (Armie Hammer), una storia troppo bella per durare. La sceneggiatura, di James Ivory, vince l’Oscar, ma la cosa più bella rimane la regia delicata e sensuale di Guadagnino, che ci regala quello che è già diventato un classico moderno. Gli anni ’80 sembrano quasi respirare davanti alla sua macchina da presa, l’effetto nostalgia è assicurato. Non ci sono cellulari, ci si diverte davvero; l’uomo, sconnesso dalle macchine, è in comunione con il prossimo e con l’ambiente circostante. Sembra un’epoca perfetta ma che, come quell’amore, sappiamo che non tornerà mai più.
Di Daniele Fabietti