La serie tedesca Dark (qui il trailer) – creata dalle menti geniali di Jantje Friese e Baran bo Odar – giunge al proprio termine con la terza stagione, da poco distribuita sulla piattaforma Netflix. Questa serie si distingue dagli altri prodotti audiovisivi di recente notorietà per la sua non facile fruibilità la quale però non sminuisce minimamente il suo incredibile impatto visivo. Tra concetti filosofici, surreali e fantascientifici, lo spettatore è fin da subito immerso nel vortice narrativo che prevede, differentemente dalle precedenti stagioni, l’esistenza di mondi paralleli. Questi non sono poi così diversi dal mondo “malato” di Jonas (interpretato da Louis Hoffman) dal momento che anche in essi il tempo scorre in modo circolare (così come supposto dal paradosso di Bootstrap). Gli eventi già accaduti si susseguono infatti in un ciclo senza fine in cui “la distinzione tra presente, passato e futuro è solo un’illusione ostinatamente persistente”.
Il fulcro di questa stagione conclusiva ricade come sempre su Martha (Lisa Vicari) – del mondo parallelo – e Jonas, ormai gli unici in grado di chiudere definitivamente un cerchio temporale distruttivo. Winden, ancora più cupa rispetto alle ultime stagioni, diviene qui un luogo alienante per Jonas, il quale non si riconosce parte né di un mondo né dell’altro. Non riuscendo nemmeno a stabilire un legame o un’affinità con le sue controparti adulte del futuro, tenterà ancora una volta in questa conclusiva stagione di cambiare il suo destino e quello degli abitanti di Winden arrivando poi ad un’amara riflessione finale.
Non ci sono drastici cambiamenti nel tono, nelle atmosfere e nei personaggi – sebbene ne vengano aggiunti di nuovi – o incoerenze narrative. Tutto è esattamente così come ci aspettavamo, persino il finale seppur labirintico. Quest’ultimo, necessario e oggettivamente sensato, racchiude infatti, in modo esplicito, tutta l’intera filosofia di Dark. L’apporto quasi ossessivo di simbolismi e metafore sul bene e sul male è fortemente correlato dall’assidua presenza del numero 3 e dalle figure bibliche di Adamo ed Eva, i primi essere umani plasmati da Dio. Il numero 3 si rapporta al concetto divino di creazione e di perfezione mentre Adamo ed Eva incarnano l’emblema del peccato originale e della corruzione umana.
La fotografia è densa di contrasti e sfrutta le diverse linee spaziotemporali e i costumi di ogni diversa epoca per accentuare un perfetto dualismo, fra la luce e il buio, fra il bene e il male. Dark sembra ricordare la serie tv Tales From The Loop (anch’essa di recente produzione e disponibile su Amazon Prime Video), con la quale condivide l’ambiente fantascientifico e distopico. Per quanto riguarda la regia, Baran Bo Odar sceglie inquadrature piuttosto limitanti, prediligendo i primi, i primissimi piani e i piani americani, sia per rendere più spontanea un’immedesimazione da parte dello spettatore sia per focalizzarsi sull’introspezione dei personaggi. Non mancano però gli establishing shots e i campi lunghi che permettono una visuale più ampia e complessa dell’ambiente.
Complessivamente la serie conquista il suo podio – con encomio – come uno dei migliori prodotti Netflix degli ultimi tempi, soprattutto grazie alla sua vivacità di montaggio, alla moltitudine di plot twist e infine alla scelta registica utilizzata nel finale di far convergere ogni pezzo del puzzle rimasto isolato in un’unica immagine per nulla scontata.