Da Inland Empire a Cellophane Memorie: il cambio di rotta di David Lynch

David Lynch, approfondimento

È il 2017, il progetto ultimo di David Lynch è ormai alle porte: il return della serie di culto Twin Peaks torna in televisione dopo un’attesa di 26 anni ed il maestro ne inizia la solita routine promozionale. In un’intervista al Sydney Morning Herald però, tra le domande al regista è una sola a fare il giro del mondo: da oltre un decennio lontano dal suo Inland Empire, gli viene chiesto se quel film sarebbe rimasto il suo ultimo lavoro per il grande schermo. La risposta non lascia spazio ad interpretazioni: è un sì.

«Le cose sono cambiate parecchio» dice Lynch. «Molti di quelli che sarebbero potuti essere grandi film sono stati un flop al botteghino, mentre quelli che hanno avuto successo non erano i film che avrei voluto fare». Dominato dal modello del franchise e del blockbuster, il cinema moderno non sembrava più il luogo adatto per accogliere quei sogni bizzarri che avevano reso Lynch un autore straordinario. La televisione, a lungo amata e odiata dal regista, diventava adesso l’unica via possibile, l’unico mezzo per dare spazio alla sua libertà creativa.

È il 2024 e le cose non sembrano cambiate. Proprio lo scorso 27 maggio infatti, dopo i mesi di silenzio che regolarmente avvolgono la figura di David Lynch, d’improvviso un annuncio via social: «Un nuovo progetto venuto da lontano sta per arrivare. Ne saprete di più il 5 giugno». L’attesa finalmente sembra giunta al termine, il maestro ha parlato ed i fan sono in fermento. Ma di cosa potrebbe trattarsi? Forse di Snootworld, il film d’animazione ideato assieme a Caroline Thompsone clamorosamente snobbato da Netflix? E se invece fosse Twin Peaks? Di recente Sabrina S. Sutherlan, la produttrice dello show, aveva dichiarato che Lynch avesse ancora molte idee per un nuovo atto.

Nulla di tutto ciò, nessun nuovo film. Si tratta invece di un nuovo album: Cellophane Memories. Il nuovo disco, in collaborazione con Chrystabell e in uscita il prossimo 2 agosto, ha fatto la sua presentazione con un primo singolo intitolato Sublime Eternal Love. Ed eccoci allora un’altra volta a chiederci perché David Lynch, di tornare a fare cinema, proprio non voglia saperne. Anche tornando con un meraviglioso Twin Peaks ed alcuni brevi cortometraggi, l’assenza dal grande schermo conta ben 18 anni e sembra destinata ad aumentare. A detta del regista, il suo cinema non sembrerebbe più adatto al modello contemporaneo. Un paradigma semplicione, confinato dentro se stesso ed i suoi schemi di ciò che funziona e non funziona, vende e non vende.

Un cinema non più disposto a sperimentare come in passato e che ora vede in lui nient’altro che un rischio economico. Ma cosa ha reso David Lynch l’ultimo dei rifiutati dello streaming? Cosa ha reso a David Lynch così ardua la ricerca fondi per un nuovo progetto? Per rispondere a questa domanda è proprio al suo ultimo film che dobbiamo tornare, quello che nel lontano 2006 scosse la critica del festival di Venezia. Quello che più di ogni altro fu la summa del suo percorso lavorativo – e delle sue turbe – e che segnò una rottura definitiva tra il cinema e l’autore statunitense: Inland Empire.

Inland Empire, approfondimento

INLAND EMPIRE

Riassumere la trama di Inland Empire e raccontarne gli intrecci è un compito diabolico di cui nemmeno i fan più accaniti si sono mai presi l’incarico. Ogni tentativo di sintesi lineare diventa dinnanzi ad esso una battaglia persa. Una lotta ad un film che, distaccandosi completamente dalle convenzioni cinematografiche quali soggetto e sceneggiatura, abbraccia un approccio diverso, perfettamente raccontato nel libro In Acque Profonde: «Scrissi 14 pagine di monologo per Laura Dern, volevamo lavorare insieme in qualche modo» dice Lynch, poi continua:  «La sua interpretazione fu semplicemente fenomenale. Non potevo più distribuire quel materiale sul web perché era troppo ben fatto, aveva qualcosa che lasciava presagire altri segreti. Così ci pensai su. Venne a galla una nuova idea. Un’idea che portò un’altra scena. non sapevo però che cosa diavolo fosse e non sembrava avere molto senso. Poi però, arrivò un’altra idea per una nuova scena. Forse questa, la terza scena, si discostava molto dalle prime due ma avevo la netta sensazione che dovesse esserci un nesso. Il cervello si mette in funzione ed è interessante capire come questi elementi privi di alcun rapporto tra loro vadano d’amore e d’accordo. il ragionamento fa apparire come per magia un terzo elemento che rende quasi coerenti i primi due. Solo a metà dell’opera vidi improvvisamente una specie di sovrastruttura che rendeva coerente tutto ciò che c’era già»

Questo approccio dà vita ad un film che, in questo modo, non appartiene più al suo regista, che non possiede una linea guida alla base, ma mette lo spettatore nei panni di un autore. Un’opera che quindi emerge dal patto fra Lynch e lo spettatore, che non è semplicemente invitato a comprendere, quanto ad inventare. Sta a noi, tanto quanto al regista, collegare e rielaborare le visioni proposte secondo una soggettiva interpretazione delle immagini. Inland Empire diventa così parte di un modello cinematografico che potremmo definire interattivo e che, va da sé, pone al centro l’immagine tanto quanto l’aveva fatto il cinema mostrativo dei primi del ‘900. È proprio lei infatti la vera star del film. Il mondo di Inland Empire così appare come un grande contenitore di immagini che ci parlano, si alternano, si sovrappongono e si allontanano. Immagini che se pur ci appaiono incoerenti, a volte quasi in contrasto, sono tenute insieme grazie ad un solo elemento comune: Laura Dern.

L’attrice, spinta fino all’estremo delle proprie potenzialità, è chiamata a muoversi in uno spazio estraneo e contorto. Uno spazio che visivamente perde ogni elemento decorativo per diventare pura espressività. Il film infatti, volutamente girato in bassa definizione e per la prima volta in digitale, cerca di sfruttare al meglio – e al peggio – le potenzialità del mezzo appena nato. Ad una maggiore flessibilità dell’editing e degli effetti visivi si alternano scene bruciate e sfocate. Quasi sporche e capaci di rendere il tutto ancora più contorto e inquietante. All’epoca definito come “oscuro”, Inland Empire si dimostrò da subito come la pecora nera dell’industria. Criticato tanto quanto acclamato, per alcuni il film non fu nient’altro che il solito incomprensibile lavoro di un uomo eccentrico, impossibile da commercializzare se non per i fan e gli addetti ai lavori.

La realtà dei fatti è che un film come questo, capace di sperimentare fino a tal punto, capace di stravolgere completamente l’idea stessa di cosa voglia dire autore e spettatore, non poteva adattarsi al pubblico generico. L’incasso di soli 4.4 milioni al fronte dei 3 spesi inclinò ancor di più il rapporto tra Lynch ed i possibili finanziatori (Inland Empire stesso fu coprodotto dal regista) che a questo punto non potevano più affidarsi completamente alle mani di David Lynch. È in tutto questo che trova spazio il singolo Sublime Eternal Love. In un’arte che più che mai è industria e guadagno. Un’industria che non fa sconti a nessuno, neanche se il tuo nome è David Lynch e di cui adesso non ci resta che aspettare il nuovo album per immergerci per un’ultima volta in quei sogni turbolenti che tanto abbiamo adorato.

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