L’approccio con cui mi sono avviata verso il cinema per vedere Crimson Peak era un curioso mix tra contrizione, sdegno, curiosità e ribrezzo come quando mangi un’impepata di cozze troppo condita. Lo stupore subentrato dopo i primi dieci minuti della pellicola ha decisamente spazzato via le ombre del dubbio: Guillermo del Toro, con il suo ultimo film, non solo non ha fallito ma ha saputo riportare in vita un genere “redi-morto” da troppo tempo, l’horror nell’accezione tradizionale del termine, rigenerandolo con nuova linfa vitale.
Già da qualche tempo circolano in rete notizie rilasciate dalla casa di produzione Universal riguardo alla volontà di riportare alla luce, con un attento lavoro di restyling (al secolo reboot), i mostri più celebri della sua scuderia: lo studio ha dichiarato di voler restituire ai loro mostri un nuovo tocco “epico ed avventuroso”, escludendo completamente il termine horror dal loro vocabolario. La prima uscita è prevista per il 2017 e riguarda il ritorno sul grande schermo de La Mummia per la regia di Alex Kurtzman (già mente creativa dietro la sceneggiatura di Transformers) e Chris Morgan (alle spalle dell’intero franchise di Fast and Furious). I due, avvezzi alle logiche da blockbuster fracassoni e adrenalinici, sono pronti a giocarsi tutte le loro carte per dare nuovo smalto al lato “gotico” della grande casa di produzione, per avvicinare i tradizionali Dracula, Frankenstein, Van Helsing (già in cantiere), Il Lupo Mannaro, La Mummia etc. alla portata degli spettatori del nuovo millennio, abituati ad un massiccio uso di CGI per portare in vita, sullo schermo, qualcosa che si avvicini- almeno lontanamente- alla spettacolarizzazione del concetto di orrore; anche un’altra grande casa di produzione blockbuster addicted come la Legendary Pictures è alle prese con un’operazione simile, vista l’imminente uscita, nelle sale italiane, di una versione alternativa del mito di Frankenstein (Victor Frankenstein con James McAvoy e Daniel Radcliffe).
Pur innestandosi in questo nuovo trend, moderno e all’avanguardia, Crimson Peak è uno stupefacente tentativo di ritorno al “passato remoto” dell’orrore, perché è il Gotico il vero protagonista di questa torbida storia di fantasmi a tinte fosche. Sulla scena ci sono i due inquietanti fratelli (Lucille e Thomas Sharpe) e la giovanissima moglie di quest’ultimo, Edith Cushing, giovanissima scrittrice in erba e pregevole “catalizzatrice” di esperienze ectoplasmatiche. Le ambientazioni vittoriane di fine ottocento, le foto d’epoca, i manieri abbandonati nella lande selvagge della vecchia Inghilterra, l’America giovane e rampante contrapposta ad una società aristocratica che si avvia, ormai, verso l’inesorabile decadenza: sono tutti elementi che, mescolati insieme, rendono la pellicola un ritorno ad un immaginario tradizionale e condiviso da tutti. Da una parte quello legato alle ghost stories ottocentesche, da Giro di Vite a Il Mistero di Udolpho, Il castello di Otranto fino ai più famosi masterpieces Dracula, Frankenstein, Il Vampiro (di J. Polidori), Carmilla (di J. S. Le Fanu) dall’altra le- apparentemente fuori luogo- ambientazioni evocate dalle sorelle Bronte nei loro romanzi Jane Eyre o Cime Tempestose; un immaginario che affonda le sue radici in un’epoca e in un contesto- quello anglosassone- talmente ben preciso e delineato da essere miracolosamente maneggiato nel migliore dei modi da un regista messicano, che ha fatto del genere horror il suo punto di forza in una personalissima rielaborazione.
I registi latini, infatti, hanno dimostrato una versatilità naturale per i generi macabri a tinte forti, elementi che trascendono spesso nel grottesco e che tendono a contaminarne altri automaticamente, sconfinando dai loro “margini” ben delineati (è il caso, ad esempio, del gusto di alcune commedie: a tal proposito consiglio il testo teatrale di Rafael Azcona e Luis Berlanga Nel giorno dell’onomastico della mamma, dal quale Luciano Salce prese spunto per la sua commedia nera Alla Mia cara Mamma nel Giorno del suo Compleanno): Del Toro- autore del secondo capitolo della saga di Blade il vampiro, ma anche dell’universo visionario di Hellboy, degli orrori venuti dal profondo nella serie tv The Strain, come pure del cult Il Labirinto del Fauno e dell’inquieto- ed inquietante- La Spina del Diavolo; ma anche Alejandro Amenabar, autore tout court di un capolavoro di tensione e suspense come The Others, solo per citare i più famosi e conosciuti a livello internazionale, autori che hanno rinnovato i fasti dell’horror con il loro tocco, contribuendo ad allontanarsi dai tradizionali cliché del genere, legati a tradizioni antiche: il gusto gore che negli anni 60’- 70’ diventava un mezzo di denuncia sociale, negli 80’ una caustica riflessione sull’era del Reaganismo e a partire dai primi 2000 sforava nelle derive del torture porn senza filtri, nudo e crudo, volto a terrorizzare e disgustare lo spettatore, attraverso l’opera di questi autori si stempera, perde il suo carattere eccessivo e lascia spazio all’uso della CGI, soprattutto per quanto riguarda Del Toro. Crimson Peak recupera le atmosfere gotiche- retrò già respirate in The Others, ma le trasforma adattandole al gusto di un pubblico abituato a tutto sul grande schermo; ogni ambiente è iperrealistico, l’horror vacui sembra quasi spingere il regista a riempiere ogni inquadratura fino ai margini, invadendo gli occhi del pubblico con un bagno di piaceri retinici. Gioca con i topoi della tradizionale ma li rielabora, innestando elementi di suspense e terrore annidati dietro ogni angolo, nascosti nel buio di ogni stanza o nel cigolio delle vecchie assi del pavimento; anche gli spettri, in realtà, sono funzionali alla narrazione e NON rappresentano il focus intorno al quale si sviluppa la pellicola. Sono fondamentali, ma non nell’accezione più comune, perché semplicemente non adempiono soltanto il loro compito primario, ovvero terrorizzare: inquietano e disgustano ma ricordando, sempre e comunque, il vero obbiettivo della pellicola, cioè raccontare come troppo spesso le persone scelgano volontariamente di restare legate ad un luogo, a dei sentimenti o a delle persone, privandosi così di qualunque opportunità di vivere un’esistenza “vera” e non soltanto unna sbiadita proiezione ectoplasmatica.