Il fashion film è forse il genere audiovisivo più bistrattato dell’era Covid-19. In passato era un prodotto per appassionati e addetti ai lavori, ma con la pandemia e la conseguente digitalizzazione delle fashion week si è assistito alla massificazione dell’espressione Fashion Film. Sotto questa etichetta sono finite sfilate in streaming, pubblicità, fashion film: tutto l’audiovisivo in cui compare un brand. Ma cosa è davvero fashion film?
I fashion film non sono una sfilata in streaming né uno spot pubblicitario, bensì cosiddetti contenuti brandizzati. Questi sono prodotti audiovisivi realizzati dai marchi per intrattenere e coinvolgere i propri consumatori in universi narrativi progettati secondo le regole dello storytelling. Essi si inseriscono in dinamiche sociali, mediatiche ed economiche che vedono i brand divenire parte della nostra quotidianità, del nostro lifestyle, fino a presentarsi come una versione antropomorfa di loro stessi. Nelle nuove forme di socialità digitale, i brand ci accompagnano e si fanno conoscere trasformando il consumatore in audience. Ciò comporta che rapportarsi ad un pubblico è diverso da rapportarsi con un cliente perché bisogna far leva sulla sfera dell’emotività.
Lo storytelling dei brand sono del tutto affini alle regole di sceneggiatura. Le parole chiave sono: personaggi, archetipi, conflitti, personalità, identità visive, allineamento, bio-miti. I contenuti brandizzati nascono quindi per renderci partecipi. Non è come una pubblicità, dove si subisce la persuasione verso un particolare prodotto o servizio. È un ingresso verso un universo esperienziale, emotivo e identitario. Quindi una sfilata non è un contenuto brandizzato? Sì, assolutamente, ma non detiene questo insieme di caratteristiche emozionali.
Allo stesso modo gli spot pubblicitari più raffinati riescono a restituire questa atmosfera, ma sono ancorati a una dimensione di invito al consumo. I brand quindi utilizzano i fashion film per farsi conoscere e invitarci a entrare nelle loro storie e nei loro valori. Questo tipo di contenuto non è inserito in un flusso, come avviene con le pubblicità, ma vive in autonomia. È il pubblico a cercarlo, non il contrario.
Eppure il fashion film ha anche una dimensione fortemente culturale visto che rappresenta un mezzo di nobilitazione del marchio. Attenzione: i prodotti non mancano, solo che il focus non si concentra su di essi. Non a caso spesso i fashion film vantano regie di autori importanti, addirittura da circoli festivalieri. Due esempi su tutti sono Castello Cavalcanti di Wes Anderson per Prada o Le Chateau Du Tarot di Matteo Garrone per Dior. È interessante confrontare La Beauté di Oysho e Timeless di Lacoste. Entrambi hanno come finalità la creazione di un’atmosfera, mostrando due poli antitetici con cui un brand più raccontarsi: dalla poesia del cinema francese fino all’azione di stile hollywoodiano.
La moda tuttavia è un processo complesso che non si limita al solo abbigliamento-accessori, benché spesso lo si creda. Infatti i fashion film potrebbero andare oltre questo settore. In inglese si divide tra fashion film e branded film, ma la divisione è alquanto labile perché si riferisce solo al mercato in cui l’azienda opera. Esempi significativi sono The Small Escape di BMW e Let’s Relax di Ikea. Un aspetto da evidenziare, perché a noi caro, è il tema del film e della serie. Molti fashion film divengono veri e propri prodotti editoriali seriali, eppure il termine serie è bandito. Se nell’industria audiovisiva la nobilitazione della serialità è ormai innegabile, negli ambienti dell’elitè del fashion questa frattura ancora esiste e viene sfruttata. Inside Chanel rappresenta un buon esempio di serialità che, per status, mantiene l’etichetta di film.
Ci troviamo dinanzi a una frontiera ancora in decisa espansione. Con l’ascesa dei media digitali e la necessità di creare contenuti sempre nuovi per il proprio audience, i brand investiranno sempre più in questo campo e dovranno saper trovare i linguaggi giusti per saper coinvolgere il proprio pubblico in un minutaggio limitato. Il fashion film si candida quindi a prodotto del futuro non solo nel marketing, ma nell’intero settore dell’intrattenimento. A un mondo brandizzato spetta un divertimento brandizzato.