Companion, la recensione: i giorni del controllo sono finiti

Iris è pronta a raccontare a chiunque voglia ascoltarla la storia dei due momenti migliori della sua vita: il giorno in cui ha visto per la prima volta il suo fidanzato Josh nel reparto ortofrutta di un supermercato e quello in cui l’ha ucciso.

Zach Cregger, regista del sorprendente Barbarian (2022), è uno dei produttori di Companion (trailer), diretto da Drew Hancock. Il marketing del film, con il titolo di Barbarian (e il nome di Cregger) ovunque, insinua che le due opere condividano una certa parentela tonale, se non strutturale. Quindi, ricordando che Barbarian cambia rotta a metà film, possiamo aspettarci qualcosa di simile anche da Companion – che in effetti funziona proprio così, con una trama a spirale che lo rende difficile da recensire senza svelare l’intero gioco, quindi siete avvisati.

La storia inizia con la contemplativa e riservata Iris (Sophie Thatcher) che ha un piacevole incontro al supermercato con Josh (Jack Quaid). Poco dopo, seguiamo la coppia felice in una tenuta isolata su un lago di proprietà di Sergei (Rupert Friend), un ricco hipster russo che ospita gli amici snob di Josh per il fine settimana. Iris inizialmente si sente isolata durante questo viaggio nel bel mezzo del nulla: Eli (Harvey Guillén) e Patrick (Lukas Gage) sono teneri ma distanti; Kat (Megan Suri), la più snob del gruppo, la tratta come spazzatura; Josh mostra improvvisamente un lato più furtivo della sua personalità altrimenti brillante; Sergei nutre per Iris un interesse non corrisposto. La mattina dopo questi tenta di stuprarla, così il fine settimana prende una piega violenta e completamente inaspettata.

Ciò che sposta questa narrazione dalla romcom standard a una comedy decisamente più dark non è tanto la presenza di omicidi, bensì l’impostazione drammaturgica in cui Iris non è umana ma un androide domestico che si prende cura dei “bisogni personali” del fidanzato Josh. Tuttavia, Iris non è consapevole di non essere umana. Letteralmente progettata e programmata per soddisfare ogni singola esigenza di Josh, Iris si rivela essere un robot avanzato, un umanoide ordinato per corrispondenza, se vogliamo, che non ha libero arbitrio o intelligenza. Questa dicotomia di potere sarebbe problematica se la narrazione si limitasse a ciò, ma così non è, perché ci porta completamente nel profondo di tutte le implicazioni etiche. Quello che otteniamo è una storia sulla natura mutevole del potere nelle relazioni romantiche e non solo, mentre i diversi personaggi del film cercano di sopravvivere o addirittura prosperare sulla scia di così tanto sangue.

companion, la recensione del film

Companion bilancia difficili questioni relazionali e questioni di moralità, autonomia, empatia, etica e compassione. Noi, come esseri umani, cosa dobbiamo a esseri artificiali che apparentemente possono pensare e sentire? Le emozioni e i sentimenti di Iris sono reali? Quanto è “intelligente” l’intelligenza artificiale? Gli androidi sognano pecore elettriche? Queste domande si accumulano, eppure Companion non si impantana mai in esse. Con sfumature che vanno da Ray Bradbury, Isaac Asimov, Ai confini della realtà, a Stepford Wifes, Black Mirror, Gone Girl e persino I Spit on Your Grave, Companion non si vergogna di esplicitare le sue influenze e non risulta mai derivativo, bensì fresco, rinvigorente e pieno di energia selvaggia; inoltre, anche nei suoi momenti più cupi e sanguinosi, questo è un film che diverte.

Nonostante i fantastici progressi fatti nella tecnologia robotica, il futuro prossimo di Companion sembra plausibile perché prende dei concetti sociali riconoscibili (come, ad esempio, le relazioni transazionali online) e li spinge verso estremi disumanizzanti. Iris è curata per essere meravigliosamente instagrammabile, ma allo stesso tempo è considerata usa e getta, un accessorio giocattolo di cui godere fino a quando non è il momento di spegnerlo («Vai a dormire » è il crudele ordine di Josh). «Mi fai sentire sostituibile», dice all’inizio Kat a Iris, una battuta che assume un aspetto più significativo con il procedere del film. L’ammissione di Kat apre un modesto filone di commenti riguardanti il ​​progresso dell’intelligenza artificiale, nell’arte e nella vita, accennando alla china scivolosa messa in atto da persone che rinunciano volentieri a qualsiasi tipo di etica per il percorso più facile e redditizio. Nel caso di Josh, questo significa mettere da parte le complesse emozioni umane per, in definitiva, del sesso facile e un senso di potenza e controllo assoluti sull’altra “persona”, ed egli è disposto a usare la violenza per preservare questa prerogativa.

C’è anche un altro colpo di scena, che minaccia di far precipitare Companion nel territorio della vendetta robotica, ma Hancock raddrizza rapidamente la nave lasciando che le complesse emozioni legate a questa relazione violenta facciano da motore alle scelte di Iris esplorando anche il potenziale comico della sua premessa. A un certo punto, Iris mette le mani sul telefono di Josh e gioca con le impostazioni della sua app, amplificando anche la sua intelligenza – che Josh aveva tenuto alquanto bassa. Il film qui strizza l’occhio a Limitless, con protagonista una Terminator in camicetta. Iris è il personaggio più compassionevole e sfaccettato del film, il che, forse giustamente, semplifica il conflitto del film. Una volta che Iris si libera dal controllo di Josh, Companion diventa un techno-gioco allegramente buffo, un San Valentino da test di Turing per coloro che stanno ancora imparando ad amare meglio se stessi/e.

Da un punto di vista strutturale, Iris è la quintessenza della Final Girl: viene presentata come vittima di circostanze violente ma si rifiuta di perire come tale, ottenendo infine un’agency combattendo e sopravvivendo a tutto il gruppo. È un arco narrativo di un personaggio standard che è diventato effettivamente il romanzo di formazione del genere horror, offrendo a innumerevoli registe e registi l’opportunità di sperimentare nuovi mostri e idee all’interno di un quadro ampiamente accettato. La svolta più grande di Hancock è la decisione di mettere un robot nel ruolo che è tipicamente riservato alle donne umane. Da Black Mirror a Her, molti film e show hanno guardato a un futuro in cui creazioni di intelligenza artificiale sempre più realistiche ci costringono a rispondere a complicate domande etiche su cosa significhi realmente essere umani. Companion sceglie di rappresentare Iris come immediatamente empatica, dandole un viaggio verso la libertà che sembrerà familiare a qualsiasi fan dell’horror.

companion, la recensione del film

Una volta che apprendiamo che Josh è una persona tutt’altro che ideale, diamo per scontato che la libertà di Iris sia qualcosa per cui vale la pena fare il tifo e che decisioni come quella di abbassare le sue impostazioni di intelligenza per renderla meno capace di difendersi siano quantomeno malvagie. C’è molto da dire sia relativamente all’autonomia femminile sia sul fatto che, anche se è stata costruita secondo specifiche per rendere felice un uomo (o quella che lui pensa sia la sua versione di felicità), lei affina comunque la capacità di mettere alla prova la sua psiche. Iris, inoltre, saggiamente, non è costruita in un modo simile a Terminator: sembra capace come la maggior parte delle altre donne ed è impostata in modo da non poter causare danni a un altro essere umano. Naturalmente, sapere come può essere modificata a vantaggio di Josh, porta la trama divertente di Hancock ad andare storta, e a una pletora di altre rivelazioni narrative che mantengono il film decisamente eccitante.

Hancock non ha scrupoli nell’affrontare l’edonismo del fuckbot e manifesta come, in questo spazio di intelligenza artificiale, i cuori solitari che hanno la manifestazione fisica del loro partner digitale siano molto più pericolosi di ciò che viene venduto nell’inevitabile pacchetto. I film horror spesso scoprono il peggio dell’umanità e riescono ad affrontare problemi più radicati sotto litri e litri di sangue, e Companion non fa eccezione. In un’epoca di discorsi infiniti e in un momento in cui le conversazioni sulla misoginia o sulla tecnologia, così come su ciò che questa combinazione letale comporta, dominano i titoli, Companion arriva come un reset culturale. Un film giocoso che colpisce lo stomaco, si addentra audacemente in argomenti che ci si aspetterebbe siano stanchi e triti, ma che invece vengono riproposti con una freschezza rara. Tenendo uno specchio davanti agli impulsi più oscuri dell’umanità, il film ci lascia con un messaggio chiarissimo: sei sei un incel non puoi sopravvivere. 

L’esordio alla regia di Hancock scava in questo con forza, esaminando come la tecnologia sia diventata un capro espiatorio per i mali della società e che la colpa non è mai unilaterale: Josh impara questa lezione a sue spese. Al centro sia della storia che dell’allegoria, però, c’è Iris: gentile, premurosa (ma non troppo intelligente), perfetta (anche se un po’ socialmente ansiosa), tutto ciò che un uomo insicuro potrebbe desiderare. Vittima della tossicità del suo ragazzo, sì, ma Iris è intrappolata anche per un altro motivo: il fatto di essere il suo robot, per l’appunto. I toni femministi del film sono particolarmente sorprendenti, poiché l’opera esplora il modo in cui la nostra eroina naviga in un mondo e in una relazione in cui la sua capacità di agire è costantemente messa alla prova. Sono temi come questi che hanno senso per un film che esplora l’intelligenza artificiale, ovviamente, ma hanno senso anche semplicemente come film sulla vita di una donna. 

companion, la recensione del film

È un topos a lungo considerato nei media, quello del ragazzo della porta accanto che vuole solo conquistare la ragazza. Dalle versioni soft come Xander Harris di Buffy al Travis Bickle di Taxi Driver, artiste e artisti si sono a lungo immersi nella psiche di uomini solitari e isolati. Uomini le cui frustrazioni per l’impotenza si manifestano in modi sempre più oscuri, consumati dal decadimento sociale, come Travis, o arrabbiati per le decisioni della donna che desiderano, come Xander, mettendo in evidenza i modi sinistri in cui la mascolinità tossica e l’isolamento culturale possono inasprirsi. Companion capovolge tutto, allontanandoci dallo sguardo maschile e portandoci dentro quello dei fembot. Ci si chiede: è giusto trattare una donna come tratteresti un robot? Sulla scia del ribaltamento di Roe v Wade, e del secondo mandato di Trump, film come Companion sono essenziali. Catturare l’esperienza femminile, che sia in un thriller satirico contorto e mutevole, o attraverso il lavoro di artiste come Paris Paloma, è un atto di resistenza alle norme crescenti.

A differenza dei suoi pari come M3GANEx Machina o Subservience, questo non è solo un film sull’errore della tecnologia, bensì parla di noi, i creatori e le creatrici imperfette delle macchine che abbiamo imparato a temere. Dalla sua inquietante esplorazione del sessismo al suo tagliente commento sui modi in cui abusiamo dell’innovazione per sostenere le dinamiche di potere esistenti, Companion smantella il topos dell'”IA difettosa” e ci dice che il problema non sono i robot, ma gli umani che li programmano. Companion costringe il suo pubblico a riflettere non solo sui pericoli dell’IA, ma anche sui sistemi di oppressione che abbiamo costruito e continuiamo a rafforzare giorno per giorno.

Dal 30 gennaio in sala.

Di Ilaria Franciotti.

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