È sempre più frequente nel cinema italiano la narrazione documentaristica delle notti urbane, popolate da creature che si svegliano al crepuscolo e abitano i locali della città dedicandosi alla trasgressione più estrema. Cocoricò Tapes (trailer), il documentario di Francesco Tavella presentato alla 59esima Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro tra le proiezioni speciali, affronta il caso di Riccione, dove un locale che vede protagonisti esuberanza e creatività fa da padrone nel panorama delle discoteche degli anni ‘90: si tratta del Cocoricò.
Una considerevole parte degli spettatori conosce il Cocoricò per esperienza diretta e guarda forse con nostalgia alle immagini proiettate sul grande schermo, per chi invece il locale romagnolo è una novità assoluta, il documentario offre una grande opportunità per scoprire un luogo che negli anni ‘90 fu uno dei più importanti centri di promozione della cultura queer in Italia.
A partire dalla sua particolare struttura piramidale, volta probabilmente ad intercettare al meglio l’energia dei pianeti, e il suo posizionamento in cima a una collina isolata nell’entroterra di Riccione, tutto fa pensare al Cocoricò come un luogo avvolto da un’aura mistica. Lo stesso mistero avvolge in qualche modo anche lo spettatore, che nonostante sia bombardato da immagini dell’interno del locale e testimonianze dei più assidui frequentatori, non ha mai avuto completo accesso a ciò che realmente avveniva nella discoteca. D’altronde è proprio l’assenza di una testimonianza vera e propria di Loris Riccardi, ideatore e mente creativa del Cocoricò, che incrementa l’enigmaticità del luogo: il suo nome infatti verrà menzionato per tutto il documentario creando nella spettatore una sorta di suspense beckettiana.
Oltre ad essere un racconto bizzarro dell’avventura del Cocoricò, il film è anche il racconto della fine di quest’avventura. Nato come luogo di aggregazione e di espressione libera della propria identità, diventato poi fulcro della neonata cultura queer e infine contenitore di istanze di denuncia contro la guerra, la discoteca romagnola subisce le conseguenze della sua stessa apertura iniziale: se prima si riesce a bandire o in qualche modo a limitare l’utilizzo di droghe nel locale, in base al principio per cui è possibile divertirsi anche solo essendo sé stessi, più avanti, complice forse una maggiore circolazione delle droghe nei locali, diventa impossibile avere pieno controllo della situazione. Spinto dal susseguirsi di scandali riguardanti le attività della discoteca e coerente con l’idea iniziale dietro alla sua creazione, il team del Cocoricò sceglie di chiudere il locale.
Il racconto prende la forma stessa del Cocoricò, stravagante e giocosa: la musica elettronica che sembra provenire dalle riprese video dell’epoca è in realtà dilatata e ci accompagna per tutto il documentario; l’immagine ruota come quella sugli schermi psichedelici delle discoteche e in un attimo ci troviamo anche noi in una delle sale del Cocoricò. Così ogni elemento sembra far parte di un’esperienza immersiva nella realtà del locale, un percorso all’interno dei suoi spazi che però ci dà solo un assaggio della sua complessità, tra le immagini visionarie di Loris Riccardi e l’intrecciarsi di trame e significati per formare messaggi artistici universali.
Francesco Tavella dice e non dice, sceglie i materiali d’archivio con cura per lasciare al Cocoricò il fascino e l’aura di mistero con cui è nato. Allo stesso tempo è insita nel documentario quella naturale curiosità per la notte, i suoi misteri e i suoi abitanti, ma anche un interesse per gli albori della cultura queer, forse lo stesso che spinse Pier Paolo Pasolini a girovagare per l’Italia in cerca di risposte sull’amore e sulla sessualità e a donarci i risultati della sua ricerca nello splendido documentario Comizi d’amore, che Tavella sembra avere ben presente come riferimento. Se effettivamente la narrazione della vita notturna di questa o quell’epoca sta diventando una tendenza nel panorama cinematografico italiano, Cocoricò Tapes non stona, dice la sua e lo fa in modo originale (e queer).