Dando un’occhiata ai primi venticinque incassi globali nella storia della Warner Bros è possibile notare che tutti i film presenti in lista appartengono ad franchise di successo o fanno capo a brand consolidati. Tra remake, sequel, prequel e spin-off, ad esempio, vediamo i film di Harry Potter, i film dell’universo Dc Comics (Aquaman, Joker, Il Cavaliere Oscuro, Wonder Woman…), un film della saga di Matrix, la trilogia de Lo Hobbit, Barbie, e un film su It, il pagliaccio nato dalla penna di Stephen King, già iconico nella cultura pop sia per la sua versione letteraria che per la celebre trasposizione televisiva degli anni ‘90.
Due di questi venticinque, però, costituiscono una peculiare eccezione: Inception (2010) e Gravity (2013), infatti, non si allacciano ad opere precedenti di grande fama (nonostante Gravity prenda ispirazione dal libro di Tess Gerritsen Forza di Gravità del 1999) o a immaginari condivisi già noti. Il loro incredibile risultato al botteghino può essere quindi spiegato, oltre che da un’intelligente campagna promozionale più tradizionale, dal richiamo esercitato dai nomi dei registi, Alfonso Cuarón e Christopher Nolan. In questa ricerca ci si soffermerà principalmente sul brand autoriale del secondo, probabilmente il più stimolante nell’orizzonte di questi studi, e presente con più pellicole nella lista (Il Cavaliere Oscuro, Il Cavaliere Oscuro-Il Ritorno).
Il successo di Christopher Nolan, uno dei registi più remunerativi in circolazione, dimostra come, a partire dalla politique des auteurs predicata dai Cahiers du Cinema negli anni ‘60 e dal saggio di Andrew Sarris Notes on the Auteur Theory del 1962, la riconoscibilità dell’autore sia diventata un passaggio decisivo nella strategia promozionale di un film. Essa, infatti, garantisce sia un fruttuoso ritorno per il salario e per la libertà creativa di un regista, sia maggior prestigio culturale e credibilità artistica al prodotto venduto dalla major. In un’ottica post-moderna, però, l’autore “non è solo il naturale risultato di un’opera artistica, ma anche la costruzione di un’identità commerciabile” (Brookey and Westerfelhaus, The digital auteur: Branding identity on the Monsters, Inc. DVD, pag. 112). L’identità dell’autore contemporaneo, infatti, prende forma attraverso una complessa costruzione intertestuale, che non tiene conto solo delle informazioni ottenibili dal testo filmico, ma si intreccia con altri livelli del discorso esterni al film in sé. Vendere una “persona autoriale” ben riconoscibile al grande pubblico, soprattutto in un sistema commerciale come Hollywood, significa creare un’immagine del regista, estendendo la sua narrazione alle interviste che rilascia, alle sue dichiarazioni, ai contenuti extra delle edizioni home video. Per tessere questo racconto si intersecano così un “discorso ufficiale”, composto dal film stesso e dai materiali extratestuali prodotti e rilasciati dal regista, dagli studios e dagli uffici stampa, e un “discorso critico”, costituito dalla ricezione dell’opera da parte della critica professionale. Ma come si inserisce Christopher Nolan all’interno di questa prospettiva?
Secondo Warren Buckland: «un autore nella Hollywood contemporanea è un regista che ha il controllo di tutte le fasi della creazione di un film», affermando quindi il ruolo chiave del regista non solo nel lavoro artistico, ma anche nelle scelte produttive, distributive e promozionali che ne conseguono. Nolan rispetta appieno questa definizione: è un “filmmaker” a tutto tondo, capace di unire l’estro creativo ad un’attenta visione imprenditoriale, che si prende cura di ogni aspetto con la massima meticolosità. La libertà di cui gode all’interno dell’industria hollywoodiana è, però, frutto di un percorso ben preciso. La sua ascesa cinematografica, dopo un esordio a bassissimo costo (Following, 1999), avviene infatti con l’indipendente Memento (2000), film dal concept molto originale, che viene apprezzato sia dalla critica che al botteghino. L’interesse suscitato dal film gli permette di girare il suo primo film in major, Insomnia (2002), e di essere scelto per la regia del suo primo blockbuster, Batman Begins (2005), reboot della saga sull’Uomo Pipistrello. Il successo di quest’ultimo, che lo farà conoscere anche al pubblico generalista, sarà subissato dal sequel, Il Cavaliere Oscuro (2008), la sua definitiva consacrazione nell’albo degli autori di blockbuster. La configurazione di uno stile distintivo e personale che attraversa tutti questi film (e i successivi), che si ripropone fedelmente nonostante la diversità dei budget e delle aspettative, va di pari passo con un grande successo commerciale.
Nell’industria cinematografica statunitense, già dai tempi della New Hollywood, gli autori con più margine di libertà creativa e decisionale sono quelli che conoscono le dinamiche più commerciali della realizzazione di un film, e, pur innestando una poetica personale all’interno dei loro blockbuster, sanno venire a patti con le esigenze degli studios. Nolan conosce bene le regole del sistema e, proprio per questo, riesce a dare vita a prodotti largamente vendibili, ma comunque in buona parte personali; anche lo spettatore occasionale ha sentito parlare di lui, e conosce almeno alcune delle sue caratteristiche stilistiche e tematiche. L’ossessione per il tempo, la frammentazione dell’identità e l’ambiguità del reale, così come le storie non-lineari, imprevedibili e pervase da una forte tensione psicologica, sono diventate ormai un marchio di fabbrica del suo cinema, che lo distinguono dagli altri registi e lo identificano come un autore. Gli spettatori che colgono in ogni suo film queste caratteristiche ricorrenti riconoscono un disegno più grande legato proprio al nome dell’autore, che racchiude quell’universo di significati in una singola visione unitaria. Quest’esclusivo accentramento del processo di significazione di un’opera attorno alla sua figura è supportato, oltre che dai discorsi messi in atto dal film stesso, da molteplici elementi extratestuali. I finali aperti e le criptiche suggestioni della sua filmografia danno, infatti, una percezione della sua persona autoriale, confermata poi dalle sue interviste e dalle dichiarazioni dei suoi collaboratori.
Un alone di mistero avvolge la creazione dei suoi film, di cui non anticipa quasi niente prima dell’uscita, e di cui si rifiuta di rivelare le interpretazioni più profonde, lasciando il compito allo spettatore di ricostruire ciò che ha visto. L’inafferrabilità e la difficile comprensione delle sue opere le rende oggetto di una continua sfida alla mente dello spettatore, che, così, è stimolato a rivederle più volte per coglierne tutti gli aspetti. Allo stesso tempo, la curiosità che si sviluppa a seguito del silenzio che pervade la realizzazione dei suoi film, genera una smisurata attesa che li trasforma in dei veri e propri eventi culturali.
Il racconto della figura di Nolan è quello di un genio romantico, atipico, il cui carattere da outsider è accentuato dalla sua origine britannica e da cineasta indipendente: una sorta di “infiltrato” nel mondo luccicante di Hollywood, abituato ad un clima più intimo e familiare sui set (sceglie quasi sempre gli stessi componenti della troupe e coinvolge nei suoi lavori la moglie produttrice Emma Thomas e il fratello sceneggiatore Jonathan Nolan). In un’intervista a Variety, dice: « La troupe non ha sedie, quindi per me sedermi mentre tutti sono in piedi sarebbe inappropriato […] Se mi siedo aspettando che le cose accadano il livello di energia crolla».
Egli si costruisce una personalità mediatica enigmatica e piuttosto ‘vintage’, come dimostrano ad esempio alcune sue dichiarazioni sul fatto che non possieda uno smartphone o che non sapesse chi fosse Harry Styles prima di sceglierlo come attore in Dunkirk (2017), che lo collocano al di fuori del mondo iperconnesso del web in una sorta di dimensione eremitica. Sarebbe sbagliato, però, vedere Nolan come un autore bigotto a causa di questa narrazione. Un tratto che contraddistingue il regista, infatti, è proprio la sua costante tensione tra tradizionalismo ed innovazione, tra classicità e sperimentalismo. Sono note, infatti, le sue posizioni radicali e quasi dogmatiche sul primato dello statuto cinematografico rispetto agli altri media audiovisivi, e sulla preminenza della sala come mezzo di fruizione di opere cinematografiche (che lo porterà anche a un duro scontro con il colosso dello streaming Netflix). Nolan dichiara: «In un periodo in cui sono presenti storie di tutti i tipi, i film che ruotano intorno alle cose di cui solo il cinema si può occupare, si ritagliano un posto speciale per sé stessi»; e ancora: «Come regista, cerco di mostrare alle persone delle cose che non hanno mai visto prima».
Questa sua posizione titanica nei confronti di un intero sistema e di una società sovraesposta alle immagini, lo ergerebbe a “paladino” di una visione integralista e conservatrice del cinema, che applica caparbiamente anche nel rifiuto degli effetti speciali generati al computer (CGI), e nella preferenza della pellicola al digitale. Allo stesso tempo, però, sarebbe sbagliato non riconoscere a Nolan una certa dedizione nell’innovare tecnologicamente il medium cinematografico, come conseguenza della sua estrema cura dei dettagli e della sua ricerca della perfezione. Va ricordato, infatti, che Il Cavaliere Oscuro fu il primo film non documentaristico ad introdurre le riprese nel grande formato IMAX: dal momento della sua uscita, la maggior parte dei film mainstream iniziò a girare sempre più scene con l’utilizzo nativo di questa tecnologia, potenziando il più possibile l’esperienza cinematografica. Ancora una volta, nonostante l’abbia fatto attraverso la sperimentazione tecnica, il regista ha perseguito il suo obiettivo primario di privilegiare la visione autentica del film nel suo luogo deputato, la sala.
Dopo aver analizzato la costruzione dell’identità autoriale da parte del regista stesso, attraverso il testo filmico e i materiali extratestuali ad esso correlati alla base del “discorso ufficiale”, osserviamo ora come la ricezione critica della sua opera contribuisca a creare quella “persona autoriale” che tutti abbiamo in mente quando pensiamo a Nolan. Se ad oggi il nome del regista è un brand di richiamo che porta interesse al film, infatti, lo dobbiamo anche alla narrazione alimentata dalla stampa specializzata e generalista, che suffraga il “discorso ufficiale”.
A proposito della difficoltà dei film di Nolan e della necessità di rivederli più volte per comprenderli, nella recensione di Inception, Entertainment Weekly scrive: «La nuova audace creazione di Christopher Nolan richiede un ulteriore studio per assorbire pienamente le numerose e simultanee storie che Nolan inserisce in un’unica esperienza narrativa». E ancora: «L’ intreccio a ritroso del Memento dello stesso Nolan appare elementare a confronto. Solo una visione ripetuta può chiarire ad ogni spettatore non solo cosa succede, ma anche se la ricompensa emotiva sia abbastanza profonda da giustificare l’arbitraria complessità del gioco». Viene tracciato il profilo autoriale di Nolan, dunque, a partire sia dalla complessità del suo cinema, sia attraverso una linea di continuità con i suoi precedenti lavori, che rendono la sua opera un insieme organico in perenne evoluzione. Procede a sottolineare l’elevatezza dei suoi “blockbuster d’autore” Empire, che mette in gioco un altro tratto della personalità autoriale di Christopher Nolan, ovvero la riluttanza a chiarire il significato dei suoi film per lasciare libero spazio all’interpretazione critica: «Basandoci sul suo precedente atteggiamento, Nolan non è del parere di spiegare su cosa sia incentrato realmente Inception, ma è certamente possibile vederlo come un blockbuster allegorico riguardo il dolore, la fede e il desiderio di un aldilà».
In una recensione su Dunkirk, Hollywood Reporter rimarca ancora una volta l’artisticità del film di Nolan, riflettendo sulle dinamiche di libertà autoriale all’interno di un sistema commerciale come Hollywood: «Dunkirk è un capolavoro impressionista». Queste non sono le prime parole che ti aspetteresti applicate a un prodotto d’intrattenimento estivo dal budget gigantesco. «Questo è il film che Christopher Nolan ha guadagnato il diritto di girare grazie al suo abbondante contributo alla Warner Bros con la trilogia del Cavaliere Oscuro».
Persino nell’accoglienza critica de Il Cavaliere Oscuro, quasi completamente monopolizzata dalla tragica morte di Heath Ledger, Sight and Sound (e non solo) tende ad evidenziare la correlazione tra il nuovo blockbuster di Nolan e i suoi lavori precedenti di minori proporzioni: ì«Nolan usa il budget del blockbuster per esplorare un tipo di personaggi che ha disegnato in tutti i suoi lavori più piccoli». Si delinea così la figura di un regista che, seppur nel contesto fortemente standardizzato della major e nei confini del genere supereroistico, riesce a far emergere una filosofia personale, che lo rende sempre riconoscibile anche in un progetto così diverso rispetto ai precedenti.
In tutte queste recensioni critiche, e persino in quest’analisi, è possibile riscontrare un elemento comune: l’ossessiva ripetizione del nome dell’autore, Nolan, ormai più un simbolo, un’etichetta, un brand, che un semplice nome proprio. Ricorrere continuamente ad esso per spiegare varie dinamiche artistiche rende l’autore il fulcro di tutto il processo creativo e, di conseguenza, uno dei motivi principali del successo del film: Directed by Christopher Nolan è una formula che riesce a catalizzare le attenzioni di milioni di persone e anche chi non è un assiduo frequentatore delle sale cinematografiche, ormai, alla vista di questo nome sa già a che spettacolo andrà incontro.
BIBLIOGRAFIA:
– Hill-Parks, Erin Elizabeth (2010), Discourses of Cinematic Culture and the Hollywood Director: The Development of Christopher Nolan’s Auteur Persona, A thesis submitted for the degree of Doctor of Philosophy in the School of Modern Languages at Newcastle University.
– Brookey and Westerfelhaus, The digital auteur: Branding identity on the Monsters, Inc. DVD.
– Buckland, Warren (2003), “The Role of the Auteur in the Age of the Blockbuster: Stephen Spielberg and Dreamworks” in Movie Blockbusters, ed. Julian Stringer (London: Routledge).
– Newman, Kim (2008), The Dark Knight, Sight and Sound, Vol. 18, No. 10