Mohammad Rasoulof è uno scrittore e regista iraniano che vive ed opera in Iran in condizioni di costante pericolo. Il 23 luglio 2019 la Corte rivoluzionaria iraniana ha condannato il regista a un anno di carcere con il divieto di due anni di girare film per presunta propaganda contro il governo. La Corte ha inoltre obbligato il regista a non lasciare il Paese per due anni e presenziare a qualsiasi attività politica o sociale. Il regista ha così partecipato tramite il telefonino della sua attrice alla conferenza stampa di presentazione del suo ultimo film al festival di Berlino del 2019 vincendo, pochi giorni dopo, l’Orso d’oro con There Is No Evil (trailer).
Immediatamente dopo la vittoria è stato raggiunto dalla condanna definitiva di un anno di detenzione e due senza poter lavorare. In questo momento i grandi festival ed artisti internazionali stanno facendo pressione sul governo iraniano affinché il regista non venga costretto alla detenzione anche perché la condizione dei prigionieri iraniani sotto emergenza Covid sembra garantire il contagio. Dal 2010, Rasoulof è stato condannato più volte dalla Corte rivoluzionaria iraniana. Nessuno dei suoi film è stato mai distribuito in Iran.
In realtà i film di Mohammad Rasoulof sono molto rari anche in Italia, seppure non per ragioni di regime. Proveremo comunque a delineare un profilo del regista attraverso due film: L’isola di ferro e Manuscripts Don’t Burn. Il primo è stato coraggiosamente distribuito dalla Lucky Red parecchi anni fa ed è perfino possibile trovare dei dvd in circolazione mentre il secondo è inedito pur essendo stato un film folgorante al Festival di Cannes del 2013.
L’isola di ferro ha in sé la magia di una fiaba e la forza di un atto politico, romantico e poetico. La storia di una comunità che vive a bordo di una vecchia petroliera abbandonata in mare, costruendo il tessuto sociale e l’economia sotto la forma del baratto e dello scambio comunitario. Non manca anche lo spazio per una storia d’amore che sfidi le istituzioni e la religione ed un ricco gioco di metafore poetiche e suggestive che spingono lo spettatore ad analizzare la società iraniana attraverso il filtro della sua cinematografia più coraggiosa e poetica. Non si vuole però scrivere molto su questo film per non rovinare il gusto dello spettatore verso la sua visione.
Manuscripts Don’t Burn fu invece un film fantasma, un clandestino che il Festival di Cannes non ha mai formalmente annunciato, che comparve all’improvviso, a chiusura della manifestazione, per sfuggire dalle maglie della censura iraniana. Mohammad Rasoulof racconta con coraggio ed inquietante chiarezza il massacro prima morale e poi fisico degli intellettuali perpetrato da un’ufficio speciale di censura iraniano. Un film basato su fatti, omicidi e violenze reali, che racconta come vivono le menti più elevate della cultura iraniana e come sono controllate, torturate ed eliminate quando il loro pensiero prende la forma di un’opera d’arte.
La banalità del male è raffigurata da due esecutori che seguiamo passo dopo passo nei problemi quotidiani di famiglia e nell’organizzazione della violenza e dell’omicido. Il dolore della cultura umiliata e violata compare invece nella descrizione commovente e straziante di vecchi scrittori che disperatamente nascondono i loro manoscritti o li usano come merce di scambio con la censura per sentire una sola volta la voce al telefono di una figlia che è proibito frequentare. Rasoulof ci rivela anche altri piccoli squallidi ed inquietanti retroscena del male della dittatura come la Coca Cola presentata quasi come bevanda preferita dai censori ed i sicari del regime: la bevanda della repressione. Il regista ci rivela che anche facebook è permesso, ma controllato in Iran per avere un censimento completo dei dissidenti. Gli intellettuali così vivono di scritture segrete su carta dei loro pensieri, compositori clandestini di poesie e racconti proibiti. Un film terribile e straziante, importantissimo storicamente e culturalmente.