Tom Holland alla sua prima prova attoriale altamente drammatica mostra tutto il suo talento e la sua professionalità, ma a mancare il bersaglio sono registi e sceneggiattrici che confezionano un film banale, dalla scrittura scontata e di conseguenza noioso. Ciara Bravo regge perfettamente la tensione attoriale di Holland mostrandosi davvero un nome promettente del cinema nordamericano, ma il talento dei due protagonisti non basta per rendere il film Cherry – Innocenza perduta (trailer) memorabile e degno di una seconda visione.
Il film di Anthony e Joe Russo si basa sul romanzo di Nico Walker il cui adattamento cinematografico è a cura di Jessica Goldberg e Angela Russo. La sceneggiatura si rivela ben presto troppo scontata, si riesce sempre a prevedere il colpo di scena o lo sviluppo della trama e questo appiattimento, abbinato ad una lunghezza troppo sopra le righe, finisce per affaticare lo spettatore riducendo momenti di magnetismo regalati dai protagonisti. La regia dei fratelli Russo sembra soffrire per lo stesso problema, i giochi di camera sono nella misura dei prodotti medi contemporanei americani e l’unica elevazione la si raggiunge nel lavoro fatto con i due attori protagonisti che si mostrano all’altezza del compito regalandoci la cosa migliore del film.
L’opera si concentra sul percorso di crescita fra traumi di guerra, droghe e depressione di un giovane di provincia americano che non riesce a preservare la sua storia d’amore dalla brutalità a cui la vita lo ha costretto. In una spirale di dolore e nevrosi porterà con sé la giovane compagna nella tossicodipendenza. Il film si alterna a visione del disagio urbano moderno, ricordi di guerra e frammenti tormentati di criminalità e tossicodipendenza, ma ogni singolo momento drammatico è scontato e già visto meglio in qualche altro film precedente.
Per quanto si resti colpiti dalla recitazione dei protagonisti non si può fare a meno di soffrire uno schema narrativo che per la sua banalità non riesce mai a colpire lo spettatore fino in fondo. Si percepisce quasi la paura di essere troppo diretti o dolorosi, con un racconto che per sua natura non dovrebbe evitare di esserlo. Sembra si voglia sempre in qualche modo rassicurare lo spettatore nonostante la mostruosità esistenziale in cui è costretto il protagonista e questa piccola nevrosi fra la profondità dei traumi vissuti e la moderazione con cui sono raccontati finisce per indebolire la struttura drammatica ed impoverire la resa finale dell’opera.