Il trailer di Che fine ha fatto Bernadette? (Where’d You Go, Bernadette), nuovo film del regista statunitense Richard Linklater, cerca di rifilare allo spettatore una commedia spensierata adatta alle famiglie – e in effetti indubbiamente adatto alle famiglie, Che fine ha fatto Bernadette? dopo una visione sbrigativa potrebbe senz’altro apparire come tale. Ma approfondendo il contenuto si scopre un film differente: un dramma doloroso che tratta argomenti difficili. Il problema del film di Linklater però sta nella sua forma, quindi cercheremo di mettere in ordine le idee per pronunciare un giudizio esauriente.
Prima, dovremmo fare un passo indietro: il soggetto del film proviene dal romanzo omonimo di Maria Semple. I lettori di questo romanzo per adolescenti sono plausibilmente lo stesso target che il trailer malizioso cerca di attirare. Quindi è bene ridimensionare il progetto di Linklater e considerarlo tramite il target a cui è rivolto: famiglie e adolescenti. È chiaro che ora la forma mediocre diventa quasi comprensibile: un autore che diventa invisibile in favore della storia che deve raccontare. Questo però scagiona soltanto in parte Linklater, in quanto Che fine ha fatto Bernadette? appare approssimativo sotto diversi punti di vista.
Il soggetto d’altronde è impegnativo: Cate Blanchett è Bernadette, che dopo la Jasmine alleniana reinterpreta una donna inquieta, qui caduta in depressione dopo un fallimento professionale. Un personaggio la definisce «una donna orribile», lei stessa invece parla di sé come «la regina stronza dell’architettura»; Bernadette è ansiosa, misantropa, idiosincratica, ma soprattutto è un’adulta arenata dopo un fallimento doloroso. Il romanzo di Semple ha una struttura narrativa particolare: non esattamente epistolare, utilizza però email, rapporti ospedalieri, bigliettini e quant’altro per raccontare la storia; mentre il film di Linklater si avvale di una messa in scena poverissima, basata sui dialoghi.
Bernadette è un architetto geniale che si rinchiude in una casa fatiscente perché caduta in depressione. Qui è interessante notare due cose. La prima, la sua misantropia trova un’ovvia comodità nel rapporto sterile con la tecnologia. Non le riesce difficile supplire la sua chiusura limitando le uscite di casa: ordina prodotti su internet, detta email all’assistente vocale. Questi atteggiamenti abituali assumono toni riflessivi se a compierli è una persona afflitta come Bernadette. La seconda cosa da notare è la maniera con cui Linklater tratta la depressione, ovvero tramite una donna adulta, un architetto di successo, una mamma amorevole, insomma, attributi lontani dallo stereotipo cinematografico della depressione dall’aspetto lugubre ed evidente.
Tanti (troppi?) temi interessanti che si avviano verso sviluppi approssimativi e si concludono in soluzioni sbrigative. Se in Che fine ha fatto Bernadette? ci sono intenzioni evidenti e stimolanti, la forma, dalla sceneggiatura sempliciotta alla messa in scena grossolana, appare fuori misura per un soggetto simile. Con tutto ciò, non bisogna dimenticare comunque il target a cui è rivolto, il quale probabilmente troverà nel film di Linklater una visione piacevole. Quindi, peccato che un film con questi argomenti abbia un carattere così approssimativo e una forma inefficace. Il risultato è un incrocio insicuro, tra un dramma con un carattere sciocco e una commedia con argomenti troppo impegnativi.