Challengers, la recensione: si vis pacem, para bellum

Challengers

«Il tennis è una relazione» dice Tashi Duncan (Zendaya) a Patrick (Josh O’Connor) e Art (Mike Faist) in un momento di quiete di Challengers (trailer) di Luca Guadagnino. Due giovanissimi competitor attirano l’attenzione di una grande promessa del tennis, senza avere la benché minima idea del mare in tempesta in cui si accingono a navigare. La competizione cresce, i corpi grondano di sudore, il match comincia. Gli sfidanti condividono, nel senso più contraddittorio del termine, un’ultima grande partita che non vuole o deve fare sconti a nessuno.  

Guadagnino continua la sua pluridecennale esplorazione del desiderio e dell’identità, ricorrendo ora all’appetibile metafora dello sport. Come i cannibali innamorati del precedente Bones and All (2022), anche i protagonisti di Challengers sono famelici: per quanto cerchino inutilmente di resistere alla tentazione, fanno sempre le veci di una logica da frontiera che vuole a tutti costi dipingere prede e predatori, vincitori e vinti. «Non sono una sfascia-famiglie» afferma Tashi con malizia durante una delle scene più piccanti del film, appiccando così un incendio di lussuria che guida sempre la competizione tra i due amici d’infanzia dentro e fuori il campo da gioco. Chi avrà la meglio su chi?

Sesso, sport e manipolazione sono gli organi di un triangolo tossico e al contempo eccitante, in cui la scelta più sana (se così vogliamo dire) per la risoluzione del conflitto diventa ciò da cui ci dobbiamo allontanare. Non si tratta di frenare danni irreparabili, quanto più di scoprire gli scenari dove può condurre l’ossessione. Lo stesso motivo è ravvisabile anche in Whiplash (2014) di Damian Chazelle. In quest’ultimo Andrew Neyman si convince, grazie alla durissima lezione del suo maestro Terence Fletcher, che essere il miglior batterista al mondo significa sacrificare l’amore e la famiglia. In modo analogo, anche i protagonisti di Challengers sacrificano qualcosa di loro stessi: nel caso dei due uomini, l’attenzione spasmodica per Tashi perseguita tanto il corpo teso della volpe Patrick quanto l’autostima dell’ingenuo Art; entrambi sacrificano la propria amicizia in virtù di un’ossessione mai consapevole.

In particolare, Art non si rende mai conto per cosa gioca veramente; cammina come uno sconfitto e cova una rabbia che è trattenuta per la maggior parte del film. Patrick è il suo opposto: è sprezzante e ruffiano. Se il primo parla con le parole – «Dimmi che non importa se domani vinco o perdo» rivolgendosi a Tashi – il secondo parla a gesti: se Patrick gira nudo nella sauna, Art cerca di ignorarlo. Ogni discorso di Art e ogni azione di Patrick ricostruiscono una lunga storia di perfidia e gelosia, in cui tutto è sempre supportato e tradito al contempo dalla loro donna. Tashi infatti è il personaggio più complesso, poiché il suo conflitto si connette drammaturgicamente alla narrazione a salti di Challengers. La sceneggiatura di Justin Kuritzkes è infatti una partita a tennis tra passato e presente, o tra un ricordo più lontano e uno più recente, in cui il perenne ondeggiare richiama la tensione crescente tra il polo dell’amore per il vincente e quello dell’odio per il perdente.

challengers, la recensione

Come in molti suoi film precedenti, anche qui la messa in scena di Guadagnino provoca spesso e in maniera smaccata lo spettatore. Ne consegue il tentativo (riuscito) di raccontare un desiderio sessuale aleggiante e tormentoso, fino alla scoperta di qualcosa di nascosto. La già citata scena piccante ne è un esempio: i tre corpi siedono sul letto, mentre Tashi decide chi baciare e come baciarlo; il totale dei tre personaggi è esemplificativo della realizzazione del sogno erotico dei due maschi, ma restituisce anche l’imbarazzo per una situazione evidentemente nuova per loro. La telecamera rimane ferma ad ammirare senza stacchi i corpi sempre più rilassati dei protagonisti, fino a quando l’incalzare della musica e l’allentare completo dei freni inibitori dei due uomini non spinge la macchina da presa verso lo scaltro sorriso di Tashi. Lei reagisce alla scoperta di un legame profondo tra Patrick e Art, ovvero di qualcosa che può essere rotto: ora finalmente può cominciare il film!

La regia colpisce l’occhio anche per i movimenti vertiginosi che hanno come protagonista la palla da tennis. Lanciata e respinta da Patrick e Art con grande forza, si anima e sfreccia secondo il “suo” punto di vista. La palla racconta così il desiderio degli amici/nemici di prevalere l’uno sull’altro. Questa è la grande motivazione dei due gladiatori, mentre quel Cesare di donna dirige il suo sguardo dalla sua tribuna verso chi merita i suoi onori. In questi casi il campo da tennis di Guadagnino diventa un’arena, paragonabile a quelle dei film di Ridley Scott. Come nel suo I duellanti (1977), anche nel film di Guadagnino la battaglia potrebbe estendersi all’infinito fino a quando uno dei contendenti non cade sanguinante a terra. Non rimane altro che un evento cruciale per mettere fine ai combattimenti, la manifestazione di un simbolo che può riconoscere soltanto chi è stato un vero amico.

Challengers di Guadagnino è un film con una morale di fondo discutibilissima (come il già citato Whiplash) e un contenuto volutamente provocatorio e fastidioso. Le azioni dei protagonisti sono animate infatti da un desiderio lacerante che spesso sposa la distruzione. Che sia la demolizione di una racchetta o dell’avversario, i protagonisti paiono muoversi alla ricerca di una guerra personale per approdare, infine, ad una pace apparente. Questa però nasconde una macchia, qualcosa di irrisolto che non riusciamo ancora a coprire. Forse è per questo che noi – insieme a Tashi, Patrick e Art – ricadiamo sempre nel solito circolo: si vis pacem, para bellum… se vuoi la pace, prepara la guerra.

Al cinema dal 24 Aprile.

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