In drammaturgia esiste una legge tanto semplice quanto impossibile da evitare: la storia migliore è quella che “possiede il conflitto più intenso e non quello più grande”. Al di là di facili battute che rievocherebbero il meme dei pennelli Castoro (Pennello grande o grande pennello?), sembra sia questa la filosofia seguita da Thea Sharrock per il suo nuovo film Cattiverie a domicilio (trailer). Anche se mantenere il titolo originale Wicked Little Letters sarebbe senz’altro stato più appropriato.
Il film sembra, già dalle premesse, volerci ricordare una lezione fondamentale: non importa quanto sia piccola la scintilla iniziale, se una storia è ben scritta e gestita, le fiamme e l’incendio verranno da sé. Cattiverie a domicilio è anzitutto un film britannico e, perciò, ripropone in toto molti stilemi già noti ai fan della cinematografia inglese.
L’intera vicenda è ambientata negli anni 20, in un piccolo paesino di devoti cristiani e immigrati. Ostenta un cast di grandi nomi mescolati con altrettanti caratteristi meno noti, dando vita a quell’esilarante sfida a ricordarsi dove abbiamo già visto quel tale attore o attrice. La storia mescola commedia nera, dramma, giallo e ironia come difficilmente si può vedere altrove. Quindi parliamo di una vicenda d’epoca, un film in costume, un groviglio di esotici accenti variopinti. Tutto con al centro l’annosa ma sempre attuale lotta tra conservatori e liberali. Chiunque sia fan di questo cinema sappia già che troverà grande valore nella visione. Per tutti gli altri, magari dubbiosi se recarsi in sala, andiamo nello specifico.
Il piccolo paesino marittimo di LittleHampton è scosso da un evento tanto piccolo quanto insolito. Edith Swan (Olivia Colman), una zitella profondamente credente e che abita ancora coi genitori, comincia a ricevere una serie di lettere piene di calunnie e ingiurie. Tutto ciò poco si addice ad una “signorina per bene”. Dopo l’ennesima missiva, la famiglia intera, esasperata, si reca dalla polizia per ottenere giustizia. Edith, messa sotto interrogatorio dai bobbies del paese, fa il nome dell’unica credibile sospettata del reato: Rose Gooding (Jessey Buckley), sua vicina di casa oltre che ex-amica.
Il caso sembra quindi chiuso. Rose è infatti il sospetto ideale, trattandosi di una donna di “malaffare”, una suffragetta irlandese e dalla filosofia tutt’altro che “casa e chiesa”. Sarà grazie all’aiuto di alcune donne del posto ed di una giovane poliziotta, l’agente Gladys Moss (Anjana Vasan), che forse il vero colpevole verrà portato alla giustizia. Prima che il martello del giudice esprima il suo giudizio finale.
Il film di Sharrock risulta per la maggior parte scevro da problemi o fronzoli, ostentando un rigore e un ordine lodevoli. Si può giusto constatare un leggero calo di tensione nella seconda parte del film, dovuto alla rivelazione, forse troppo preventiva, dell’effettivo colpevole. Questo fa in modo che, sebbene l’intera vicenda risulti un bilanciato mix di dramma e commedia, la componente gialla venga subito meno lasciando il posto ad una virata repentina verso il legal thriller. Per dirla in altre parole, il focus passa troppo velocemente dal “Ma chi sarà il colpevole?” a “Ma come farà a farla franca?”. Tuttavia, considerando la breve durata del film, questo problema finisce per non pesare troppo sulla visione.
Al di là della regia di Sharrock, che risulta molto pulita e funzionale, il vero focus del film è senz’altro il suo cast. Sarà un luogo comune, ma c’è del vero quando si dice che l’acting school britannica sia un’eccellenza nel suo campo. Durante la visione risulterà davvero difficile trovare un attore che non reciti al meglio delle sue capacità. A partire da Olivia Colman, interprete dalla filmografia davvero ampia e variegata (da la Favorita a Wonka, da Fleabag a The Crown); oppure Timothy Spall, che molti si ricorderanno come il Codaliscia della saga di Harry Potter. Ma senz’altro il vero fulcro e ago della bilancia del film è la multiforme ed incredibile performance di Jessey Buckley nei panni di Rose Gooding. Ed il motivo è presto detto.
Negli ultimi anni, con l’espansione delle produzioni Netflix e dei remake live-action della Disney, capita fin troppo spesso di imbattersi in storie apparentemente interessanti, oltre che dichiaratamente (soprattutto nel marketing) progressiste ed empowering. Purtroppo però molte di queste pellicole non riescono mai a reggere ad un’analisi approfondita. Trattandosi spesso di vicende deboli, con protagonisti anempatici e poco interessanti, che pongono il trasmettere al pubblico un messaggio importante sopra ogni altro elemento, verosimiglianza compresa.
Cattiverie a Domicilio correva il rischio di incappare in questa stessa trappola. Sarebbe stato facile dipingere Rose come una donna forte, con l’unico difetto di essere incompresa dai propri contemporanei. Una lottatrice immersa in un mondo di uomini che vogliono solo zittirla e impedirle di essere sé stessa. Ma, come detto, tutto ciò non è successo. Al contrario, merita un grosso plauso la decisione di rendere il suo personaggio così complesso e sfaccettato. Il merito maggiore del film è infatti l’offrire, tra risate e sospiri, il rifratto di una donna davvero forte, ma allo stesso tempo umana e capace di sbagliare come tutti.
Infine, la realizzazione tecnica del film è indubbiamente di livello. Nonostante l’entità della vicenda, letteralmente molto “casa e chiesa”, si può ravvisare un’ampia varietà di location, una ricostruzione storica perfettamente riuscita, dando vita ad un pacchetto completo che non presenta alcuna lacuna visibile.
In conclusione, se il trailer vi ha incuriosito, è molto probabile che l’intero film vi darà altrettante e molte più emozioni, trasportandovi per quell’ora e mezza in un’epoca tanto lontana, nel tempo e nello spazio. Se avevate qualche dubbio, tipo quello di trovarvi di fronte ad un film scritto con temi forzati e personaggi poco interessanti, potete abbassare gli scudi. Riderete come tutti gli altri, tratterrete il respiro all’unisono e sul finale è probabile che una lacrimuccia vi solcherà le guance.
Al cinema dal 18 aprile.