Casa Susanna, originariamente Chevalier d’Eon, è una tenuta che sorge ai piedi della catena montuosa delle Catskill, nello stato di New York. Situata vicino a un ruscello e uno stagno, immersa nel verde; insomma, un posto da sogno dove negli anni Cinquanta e Sessanta un gruppo di uomini ha potuto esprimersi liberamente attraverso la pratica del crossdressing. Susanna (Tito) ne era la proprietaria, assieme a sua moglie Maria.
Gli Stati Uniti dei fifties possono essere qualificati come un luogo altamente reazionario, che sta vivendo uno dei suoi periodi più bui dopo la fine della Seconda guerra mondiale, quello del maccartismo. Anni dove non solo i comunisti ma anche gli omosessuali e i travestiti erano odiati e visti come criminali. E soprattutto dove storie come quella di Christine Jorgensen, tra le prime persone al mondo a sottoporsi al cambio di sesso, fanno enorme scandalo.
L’inizio del documentario omonimo (clip) di Sébastien Lifshitz, presentato alla Mostra d’arte cinematografica di Venezia nella sezione Giornate degli autori (evento speciale), è programmatico, una perfetta fotografia del momento vissuto dalle crossdresser nei sopracitati anni Cinquanta. Ciò a cui assistiamo è un inserto d’archivio, un’intervista il cui fine è quello di presentarci la pratica sopracitata come illegale. L’ideale controcampo, posto a conclusione dei titoli di testa, non può che essere un primo approccio verso il safe place quale è Casa Susanna.
Pur nella sua “a-normalità” (dal punto di vista dell’americano medio), il crossdressing rappresentava una fase transitoria e fortemente problematica. Siamo in un’epoca di mezzo, dove esisteva il desiderio di identificarsi nell’altro ma non vi era ancora definizione e conseguenti etichette. Gli stessi protagonisti testimoniano di aver discusso spesso e volentieri attorno al concetto di etichetta.
D’altronde da lì a poco nascerà ancheTransvestia, rivista di nicchia dove si divulgavano articoli rubati da riviste scientifiche, racconti, rubriche (di cui una, “Susanna says”, curata direttamente da Susanna) dove trovavano spazio consigli di moda. Forse il primo vero faro per la comunità di crossdresser e queer, in generale. Proprio da qui partirà l’avventura dell’australiana Katherine Cummings, che pur di sentirsi “a casa”, si imbarcherà senza pensarci per il Canada e dove, soprattutto, troverà spazio Darrell G. Raynor (pseudonimo di Donald A. Wollheim), autore di A Year Among the Girls, testimonianza diretta dell’esperienza presso Casa Susanna.
Lifshitz lascia parlare le protagoniste e i protagonisti di questa vicenda, affidandosi a un grande repertorio d’archivio che alterna filmati in pellicola e fotografie d’epoca; lo sguardo della sua macchina predilige la distanza quando si tratta di passare alle interviste, ai ricordi personali, l’altra grande parte del film. Una lezione di storia che al momento giusto sa anche trovare degli slanci emotivi alquanto toccanti. Perché l’esperienza di Casa Susanna non ci ricorda solamente da dove arriva la comunità queer, ma anche come un gesto d’amore, la comprensione delle mogli e delle famiglie che supportavano i lori mariti e padri, ha infuso ancora più coraggio e spazzato via quel senso di imbarazzo che persone come Tito, Katherine e Diana provavano.