Ruben Östlund trionfa a Cannes con Triangle of Sadness, un film cattivo, marxista, sadico verso la società delle apparenze e grottesco verso il potere e la ricchezza. La sintesi del film può essere proprio una scena in cui i personaggi vengono travolti dai rifiuti corporali umani, in sfregio della società della bellezza e della ricchezza ostentata. Il triangolo della tristezza a cui fa riferimento il titolo è, di fatto, una ruga che si forma tra le sopracciglia e che risulta molto accentuata nel viso del giovane protagonista, un modello superficiale, avido e narcisista in cerca di successo e agio interpretato da un bravo Harris Dickinson.
L’altro personaggio impossibile da non amare è poi quello interpretato dall’iconico Zlatko Buric – l’indimenticabile Milo della trilogia di Pusher che lanciò in tutto il mondo Nicolas Winding Refn – che interpreta qui un uomo divenuto miliardario vendendo escrementi umani e che ne va oltremodo fiero. In una società di fotomodelli poveri e vecchi maiali ricchi e schiavisti si muovono le nuove maschere al vetriolo di Ruben Östlund, che divertono, infastidiscono e turbano lo spettatore con le loro mediocrità, le loro leggerezze e la loro paura di non essere amati pur essendo a loro volta incapaci di amare qualcuno fino in fondo. Dai provini per fotomodelli alla crociera, fino all’isola dei naufraghi, il regista gioca con i luoghi comuni della società delle apparenza che va dagli influencer dei social fino ai reality ed i corpi da commercio della moda. Il regista, in conferenza stampa, ha ammesso di essersi reso conto proprio durante il montaggio che questo film era l’ultimo capitolo di una trilogia inconscia sulla mascolinità, composta dai suoi precedenti Forza maggiore e The Square, a sua volta Palma d’Oro nel 2017. Il film è in effetti una visione crudele ma efficace dei modelli tossici del nostro presente.
Proprio ora che cade l’anniversario della morte di Rainer Werner Fassbinder si intravede nel film di Östlund una connessione di satira e crudeltà con il regista tedesco, una sorta di eredità artistica che sembra accomunare i due cineasti; una carica di ironia e disprezzo che ben caratterizzava Fassbinder e a cui sembra richiamarsi il giovane regista svedese (ancor più che al suo celebre connazionale Ingmar Bergman). Una menzione doverosa va poi all’incredibile Woody Harrelson, nel ruolo del capitano di una nave da crociera, il quale va oltre il semplice cameo e fornisce al film una sferzata di unicità ed energia in più.