Spike Lee torna al festival di Cannes con un tributo al cinema e alla causa afroamericana. Il regista ha scelto di costruire un film per le nuove generazioni rivolto ad un pubblico che non conosce necessariamente la storia del cinema ma che ne ha interesse e curiosità per un’esperienza visiva che unisce molteplici sottotesti senza mai rivelarsi pesante o retorica. BlackKklansman racconta la vera storia di Ron Stallworth (John David Washington), un poliziotto afroamericano che riuscì ad infiltrarsi nelle fila del Ku Klux Klan ed ottenere la tessera dell’organizzazione semplicemente al telefono. Per poter approfondire l’indagine Stallworth si avvalse della collaborazione del collega ebreo Flip Zimmerman (Adam Driver) che ne fece le veci negli incontri pubblici. In pochi mesi la coppia Stallworth/Zimmerman raggiunsero i vertici del KKK e furono considerati dei potenziali leader del futuro bianco.
Il poliziesco di Lee non annoia mai, riesce a divulgare fatti storici di un certo peso con una leggerezza invidiabile e dettata dall’esperienza del regista. Si tratta di una storia che continua a contaminarsi con la commedia ed il noir senza mai radicalizzarsi in un genere ma rimanendo aperta a più soluzione narrative e stilistiche. Spike Lee riesce nel contesto di un film di genere a parlare delle differenze ideologiche fra il KKK ed il Black Phanters Party, delle responsabilità di David W. Griffith (Spike Lee lo considera esplicitamente colpevole con Nascita di una nazione di una nuova onda razzista e della rinascita del KKK) e del cinema di genere “blaxpoitation” mettendo in gioco classici come Shaft di Gordon Parks, Foxy Brown di Jack Hill (che avrebbe ispirato Jackie Brown di Tarantino) e Cleopatra Jones: Licenza di uccidere di Jack Starret. Lo stesso titolo del resto ci ricorda il vecchio b-movie del 1966 The Klans Man di Ted Mikels.
La serietà, il carico veramente drammatico e le accuse politiche più pesanti arrivano solo negli ultimi minuti quando dal film si passa al documentario con una breve reportage in cui Lee collega inequivocabilmente l’affermazione politica e la linea presidenziale di Trump ai nuovi movimenti eredi espliciti del KKK. Spike Lee entra in guerra e lo fa con la conoscenza del mezzo cinematografico e della storia del cinema e dell’America.
di Daniele Clementi