Irlanda, anni Cinquanta. La giovane Eilis Lacey (Saoirse Ronan) abbandona amici e famiglia per attraversare l’oceano Atlantico diretta in America, alla ricerca di lavoro e prospettive che le sono negate nel piccolo paese irlandese dal quale proviene. L’impatto iniziale con una realtà così diversa e imponente, e la straziante nostalgia dovuta alla lontananza, rendono la ragazza una “straniera in terra straniera”, e rappresentano un ostacolo che sarà in grado di sormontare solo grazie all’aiuto dell’italo-americano Tony (Emory Cohen). Alle prese con le contraddizioni della terra dei sogni, combattuta e contesa tra il richiamo delle proprie origini e la necessità di determinare indipendentemente la propria vita, Eilis troverà la forza di tagliare i ponti con il passato, realizzando finalmente le proprie aspirazioni.
Candidato al titolo di Miglior Film nella 88ª edizione degli Oscar, Brooklyn, diretto da John Crowley e sceneggiato da Nick Hornby, si avvale del fragile volto di Saoirse Ronan per mettere in scena una delicata storia di emigrazione, un dramma culturale che si sofferma ampiamente sui complessi risvolti emotivi ed umani che essa comporta. Affrescando un quadro dai toni positivi, il film si configura non soltanto come un chiaro richiamo alla secolare e travagliata genesi di tale fenomeno, ma ancor di più rimanda a quella che è la realtà contemporanea, in cui emigrazione e immigrazione sono quanto più presenti e problematici.
L’avventura solitaria della giovane Eilis viene così eretta ad archetipo di tutte quelle migliaia di famiglie che nel corso della storia hanno abbandonato le proprie radici alla ricerca di fortuna, sedotti dalle promesse del “Sogno Americano”. Attraversando l’Oceano Eilis compie, infatti, un complesso percorso iniziatico che la porterà a diventare una donna adulta e consapevole del proprio ruolo nel mondo, e a rivendicare il proprio diritto ad una vita indipendente, libera dalle aspirazioni di patria e famiglia.
È proprio a Brooklyn, quartiere multietnico e simbolo per eccellenza dell’emigrazione, che Eilis, così come molti altri prima e dopo di lei, cerca di (ri)costruire la propria vita. Brooklyn assume quindi le sembianze di un simbolico Purgatorio, un limbo all’interno del quale attendere di poter fare il grande passo, il salto di qualità, attraversare il ponte per arrivare a Manhattan. L’attraversamento del ponte simboleggia l’affermazione sociale, la realizzazione utopica e metaforica del tanto decantato American Dream.
È quindi il controverso tema dell’emigrazione a rappresentare il filo conduttore che lega Brooklyn all’attualità, configurandolo come ideale finestra attraverso la quale riflettere sul mondo contemporaneo e sugli ostacoli da esso posti. Se i fenomeni migratori hanno plasmato a fondo la nostra storia, rappresentano un aspetto quanto più rilevante del nostro secolo, contribuendo così alla creazione di un ponte tra presente e passato.
Brooklyn origina un complesso gioco di rimandi tra il passato, immerso nelle desolate vallate irlandesi, e il futuro, che assume le imponenti fattezze del continente americano, un nuovo mondo carico di promesse e speranze. Tale contrasto si rispecchia nel travaglio interiore della protagonista, oppressa dalla nostalgia di un luogo che è parte di lei, ma che non sente più suo.
Le tinte pastello che mutano quasi impercettibilmente con lo stato d’animo della protagonista, assumendo un tono acceso e accogliente nel rappresentare l’America, ma sbiandendo in colori freddi e cupi nel ritratto dei paesaggi irlandesi, accompagnano la trasformazione di Eilis in una donna capace di costruire da sé il proprio futuro e trovare il suo posto nel nuovo mondo.
Quella raccontata da Crowley è una storia di coraggio e determinazione, di volontà e fragilità, un delicato inno alla ricerca di sé, al coraggio di lasciarsi il passato alle spalle, di affrontare con determinazione le incognite del futuro, fino a trovare un luogo da poter chiamare casa.
Flavia Ficoroni