Carissimo Boris, finalmente ci si rivede. Era da tanto che mancavi e, anche se gli anni si fanno sentire per tutti, è sempre bello fare due risate con te. Ecco, questo è quello che si pensa quando, con un pizzico di agrodolce in gola, si accede su Disney+ per guardare il primo episodio di Boris 4 (trailer), la brillantemente rude e celebre serie su una troupe televisiva. Questa nuova avventura vede tornare sul set (reale e fittizio), tutti gli amati personaggi che hanno regalato al mondo dell’internet meme e tormentoni: dal regista incompreso René Ferretti (Francesco Pannofino) all’attore sopra le righe Stanis La Rochelle (Pietro Sermonti), fino a Biascica (Paolo Calabresi) e la cagna maledetta (Carolina Crescentini).
Insomma, come si fa per le cene con i compagni delle superiori, tutti si sono ritrovati per girare insieme. Questa volta, la produzione viene fatta in grande stile. Registi, attori, stagisti e comparse, infatti, vengono chiamati a raccolta per tentare di soddisfare l’algoritmo di una nuova piattaforma streaming e cercare di dare una svolta alle loro carriere facendo “la qualità”.
È da questo seme che germoglia la satira borisiana. Con i suoi classici toni e i luoghi comuni all’italiana, gli otto episodi ci raccontano di un paese in cui il modello estero sembra non voler attecchire, o meglio, in cui esso non combacia con lo stile artistico e lavorativo detto “alla cazzo di cane”. Come si sa, infatti, Boris ha sempre narrato con maestria di un mondo dello spettacolo fatto di ingiustizie, approfittatori, sfruttamento e superficialità, riuscendo a far ridere gli italiani sugli italiani stessi.
Anche in questa nuova stagione le risate non mancano. La scrittura rimane brillante e la caratterizzazione dei personaggi da parte degli attori è tale che l’interprete scompare dietro le battute e la gestualità. Ma allora perché qualcosa non torna? Perché si arriva all’ultimo episodio con la sensazione che manchino dei pezzi, che non tutte le tessere si siano incastrate a dovere?
I motivi, seppur offuscati, si possono rintracciare in due fattori: il primo è il tempo, il secondo il tema. Se pensiamo alla prima puntata di questa serie torniamo indietro al 2007, ben 15 anni fa. Il mondo della serialità era diverso e il pubblico era abituato a certi tipi di prodotti. Proprio per questo Boris colpì, uscendo dai dettami e le mode dell’epoca. Il suo spirito critico e parodistico conquistò gli spettatori e trovò la sua fortuna nell’essere trasparente (fin troppo) rispetto alle meccaniche della televisione stessa.
Da quel momento, però, di serie TV sugli schermi ne sono passate, le abitudini sono cambiate e le piattaforme streaming hanno rivoluzionato il mercato. Mercato che, con amarezza, ha inglobato (o resuscitato) anche Boris, mettendosi al centro della trama. Il risultato di questo incontro quasi da ossimoro, dove da un lato vi è il re del politicamente scorretto e dall’altro il sacro protettore dell’inclusività, è una sufficienza. Infatti, la satira sullo streaming, l’algoritmo, la diversity e l’apertura sessuale, sebbene convinca in una prima battuta, diventa via via stucchevole e troppo irrealistica (persino per Boris).
In fin dei conti, quindi, Boris 4 è proprio come una cena con i compagni delle superiori: per quanto ci si diverta a ricordare il passato, alla fine, quel raduno non è piacevole per nessuno e si ritorna a casa pensando a quando si era giovani, creativi e davvero rivoluzionari.