Borderlands, la recensione: maledetta noia

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Il numero crescente di adattamenti videoludici nel mondo hollywoodiano ci permette di definire questa pratica ormai come una tradizione. I risultati artistici di ciò, invece, collocano questi film nel grande annovero dei fallimenti. Borderlands (trailer), in questo senso, è una débâcle molto coerente col suo passato. Gli studios, abili imprenditori, si sono certamente accorti dei successi remunerativi dei videogiochi. Purtroppo però non si è ancora compresa, a parte in rarissimi casi, la formula adatta per sceneggiare queste storie in maniera interessante rinunciando alla funzione di diporto attiva, quella del controllo. Nemmeno le grandi star riescono a salvare queste torri dalle basi fragili; esempi quali Jake Gyllenhaal in Prince of Persia o Michael Fassbender in Assassin’s Creed sono riferimenti tristemente memorabili. Eppure ci si ritenta sempre, nella stessa maniera, testardi fino in fondo.

Come si sarà intuito dall’introduzione, l’ultimo film di Eli Roth è una delusione. La storia è semplice, ma di certo non gli si chiedeva qualcosa di diverso: tesori nascosti, principesse rapite, guerrieri prescelti… Quando però il nocciolo duro della questione è vuoto, la richiesta legittima è che sia presentato in un involucro abbagliante, qualcosa che abbia almeno l’utilità di distrarre lo spettatore per un po’ da tutto quanto, senza il bisogno di grandi morali o analisi profonde.

Un sano mix di cazzotti ed esplosioni ben orchestrato è capace di salvare la peggiore delle storie; questa deve essere la richiesta minima del pubblico pagante. Non è nemmeno importante il rispetto per l’opera originale: al di fuori del fandom più accanito non si sente la necessità di ritrovare l’anima dell’esperienza giocata all’interno di questo genere. Ciò da cui non ci si può esimere è invece la presenza di una qualsiasi sorta di anima. Borderlands è una saga contraddistinta da due colonne portanti: uno spirito umoristico e goliardico e una grafica riconoscibile da miglia di distanza, con colori accesi e spessi bordi neri attorno alle figure che le donano uno stile fumettistico.

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Il tentativo di riprendere tutto ciò è evidente, ma il risultato è scarso e decentrato. Non c’è mai un’esagerazione; frecce scoccate con indecisione che non arrivano mai vicine al bersaglio. Non c’è ilarità, assurdo se si pensa al ricchissimo cast composto da alcuni dei più simpatici divi a stelle e strisce quali Jack Black e Kevin Hart. Non c’è performance, Cate Blanchett e Jamie Lee Curtis non sono capaci di miracoli, costrette a recitare ruoli blandi, piatti e insignificanti.

Non c’è inventiva, né grafica né narrativa; i colori saturati ma non abbastanza risultano maldestri, sintomo di una mancanza generale di coraggio che avrebbe potuto salvare il pasticcio con qualche effetto di psichedelia. Non c’è azione, i pochi scontri armati sono anticlimatici a causa di una regia che sembra avere la funzione di nascondere carenze di tempo/budget. A favore della tesi di questa sorta di inganno ci sono le dinamiche produttive che hanno portato Tim Miller a lavorare (senza essere accreditato) per due settimane di riprese per sostituire il regista titolare.

Il succo della questione è uno: Borderlands ci prova ma non è mai abbastanza. Il “compitino” per cercare di raggiungere la sufficienza ha senso solo nel momento in cui il materiale di partenza sia opportunamente sostanzioso per essere abbastanza. La versione macchiettistica di Guardiani della Galassia, meno pop, meno rock, meno identitaria, segna un buco nell’acqua in un progetto che aveva tutte le carte in regola per diventare un franchise divertente a cui legarsi facilmente. Il diagramma è piatto: se Scorsese parla di cinema/luna park, in questo grande parco a tema Borderlands è la corsa più noiosa, senza giri della morte, senza adrenalina e velocità, quella che ti chiedi perché ha così poca fila all’ingresso e alla fine della giornata te ne dimentichi.

Dal 7 agosto al cinema.

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