Boomerang, la recensione del film di Shahab Fotouhi

Boomerang

Due giovani estranei si lanciano sguardi attraverso le strisce pedonali della metropoli iraniana: per le strade trafficate di Teheran un amore nasce e uno sfiorisce lentamente fino a morire. Di questo parla Boomerang (trailer), film del regista iraniano Shahab Fotouhi presentato alla 30esima edizione del Med Film Festival di Roma. In un momento in cui si tende ad associare gran parte del Medio Oriente alle guerre di religione e ai regimi teocratici (proprio l’Iran è il perfetto esempio di teocrazia), Boomerang vuole invece dare spazio a quella quotidianità che è fatta di relazioni e sentimenti fugaci, amori passeggeri e passioni che sfumano.

Alle prese con la sua opera prima, Fotohui dipinge insieme al direttore della fotografia Faraz Fesharaki un quadro dai toni tenui, con una luce che esprime tutto il candore dei personaggi e il loro disperato tentativo di inseguire l’amore. Il film si configura come una serie di inquadrature fisse che poco spazio lasciano al dinamismo e pongono invece il focus sui movimenti dei personaggi. Quest’ultimi non sempre appaiono quando parlano o sono interpellati: i campi e i controcampi sono a piena discrezione del regista e lo spettatore è tenuto sotto scacco, con l’ipotetico intento di dirigere la sua attenzione verso i dialoghi.

La scrittura del film è arbitraria quasi quanto la sua fotografia: agli scambi più poetici degli adolescenti Minoo (Yas Farkondeh) e Keyvan (Ali Hanafian) si alternano le conversazioni più mature e sommesse di Behzad (Arash Naimian) e Sima (Leili Rashidi), in un salto continuo tra la leggerezza dei due giovani e la gravità dell’età adulta e della consapevolezza. Nonostante il suo nobile intento la sceneggiatura fatica però a lasciare il segno, forse a causa dell’inesperienza di Fotouhi, forse per l’estrema frammentarietà della storia e la mancata coesione tra i diversi episodi.

Se esiste effettivamente un interesse nella narrazione dell’altra faccia di un paese e un popolo così vessati, questa deve però lasciare che lo spettatore guardi più da vicino, consentirgli una maggiore intimità. In Boomerang tutto sembra invece piuttosto trattenuto e formale, come se un’aura di pudore permeasse il racconto: non è un caso che uno dei motivi di litigio tra Behzad e Sima sta nel fatto che la donna trova il marito a osservare dalla finestra i vicini che stanno avendo un rapporto sessuale. Che la discrezione di Fotohui sia il frutto di una barriera culturale? Sta di fatto che il suo film ci mostra la crisi ma non ce ne dà la risoluzione, dimostrando così un’inefficacia che aveva tutti gli strumenti per evitare.

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