“Quand’ero piccolo tutti mi scherzavano per le dimensioni del mio pene”. Così il gruppo Elio e le Storie Tese ci raccontava, alla fine degli anni ’80, con la loro peculiare demenzialità, una romanzata biografia cantata di quello che, molto probabilmente, è l’attore di cinema porno più celebre della storia: John Holmes. Nello stesso momento, dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, un non ancora maggiorenne Paul Thomas Anderson, decide di girare la sua prima pellicola sullo stesso argomento. Un cortometraggio mockumentary dal titolo The Dirk Diggler Story, la storia del Rise and Fall di questo personaggio liberamente ispirato alla vita del pornodivo. Tutto questo, più per caso che per comune accordo, sembra essere un omaggio funebre globale al simbolo del film per adulti, morto nel marzo del 1988.
The Dirk Diggler Story è ancora acerbo, soprattutto agli occhi di chi ormai ha imparato a conoscere le prodezze tecniche del regista grazie ai suoi capolavori. È interessante però osservare il potenziale di questa storia che andava in qualche modo raccontata con la giusta maestria e con un occhio più critico. È dalla consapevolezza di un mancato successo che nasce, come una fenice dalle sue ceneri, Boogie Nights (trailer). Si abbandona il formato più di nicchia del mockumentary a favore di un più classico biopic in stile hollywoodiano. La sceneggiatura viene allungata fino alla durata di 156 minuti. Le scene di sesso vengono preparate grazia alla collaborazione di un vero pornoattore. Il cast viene arricchito con le stelle più grandi e talentuose del panorama americano. Questa volta fallire è impossibile.
Boogie Nights è la storia di Eddie Adams (Mark Wahlberg), un teenager scapestrato che ha deciso di abbandonare la scuola per lavorare come cameriere in un night club. È proprio lì che viene notato dal produttore e regista di film a luci rosse Jack Horner (Burt Reynolds) che decide di lanciarlo subito in scena dopo aver scoperto la sua inusuale dote. Eddie, che poi sceglierà come nome d’arte proprio Dirk Diggler, è la copia carbone di John Holmes: sia la sua vita segnata dalla sregolatezza del sesso, droga e rock and roll che i suoi ruoli ispirati a questa sorta di genere porno-poliziesco in voga negli anni ’70.
Più ci si addentra nella storia, più questa inizia a diventare un canto corale che rimbalza tra i vari personaggi della vicenda. Paul Thomas Anderson non lascia nemmeno un dettaglio fuori posto, cullandoci con i suoi piani-sequenza ispirati al maestro Martin Scorsese. Il citazionismo elegante del regista statunitense torna anche nel finale con un omaggio al monologo allo specchio di Robert De Niro in Toro Scatenato.
Hollywood ci ha abituati negli anni ai racconti autoelogiativi e viziati dei propri figli, per questo nel 1997 era necessario uno schiaffo dall’interno. Il dipinto di un uomo devastato, coinvolto in una storia emozionante e struggente, che lascia sullo sfondo l’evoluzione accelerata della cultura pop. Un omaggio alla pellicola come oggetto di idolatria con l’ombra del digitale che inizia ad abbattersi con prepotenza sulla realtà. Un insulto al bigottismo che strangola senza pietà il collo del “non si può più dire nulla” con le mani sporche di un pornodivo senza filtri.