Nel 2019 usciva su Netflix la prima stagione di Bonding, una serie tv ideata da Rightor Doyle che ha come tema il BDSM (sigla che sta per bondage e disciplina, dominazione e sottomissione, sadismo e masochismo). Una commedia dark che segue le vicende di Tiff (Zoe Levin), una studentessa di psicologia che per pagarsi gli studi lavora come dominatrice, e del suo migliore amico Pete (Brendan Scannell), un aspirante comico. Tiff introduce Pete nel mondo del BDSM e i due cominciano a lavorare insieme, impegnandosi a soddisfare le originali fantasie erotiche dei loro clienti.
Fin dalle prime puntate, Bonding, si è rivelata una serie tv frizzante e sicuramente fuori dagli schemi, con l’obiettivo non solo di suscitare una risata nello spettatore, ma anche di spingerlo a riflettere su tematiche date spesso troppo per scontate. La prima stagione è terminata con un tentativo (forse un po’ debole) di cliffhanger, con diverse questioni rimaste aperte e sicuramente con i presupposti giusti per meritarsi un seguito. Sarà riuscita la seconda stagione (trailer) a non deludere le aspettative?
Fotografia da film horror, suspense, clima di tensione. L’inizio del primo episodio sembra voler sorprendere lo spettatore, convincerlo che in questa nuova stagione vedrà qualcosa di diverso, qualcosa di ancora più innovativo. Non è esattamente così. Fin da subito ci si rende conto di come il tema del BDSM sia in realtà relegato sullo sfondo, probabilmente ancora di più rispetto alla prima stagione, e di come le dinamiche siano sempre le stesse: gag grottesche al limite del reale, che dopo un po’ diventano abbastanza prevedibili.
Rispetto alla prima stagione, c’è un chiaro tentativo di voler dare maggiore rilevanza alla caratterizzazione dei personaggi, di indagare più a fondo nelle loro personalità, purtroppo però le figure rimangono troppo legate a stereotipi. Tiff è il classico personaggio che non sa riconoscere le proprie emozioni e di conseguenza gestirle, la donna dal cuore di ghiaccio che nasconde in realtà una profonda insicurezza, la cui evoluzione sprofonda in un cliché. Pete non viene messo completamente a fuoco, tant’è che alcune decisioni che prende nel corso della storia risultano poco comprensibili. Sono due protagonisti con cui non è facile entrare in empatia.
Un aspetto positivo di questa seconda stagione è il voler ricalcare tematiche rilevanti, come l’importanza del consenso durante un atto sessuale, come ricorda uno dei personaggi: “Il controllo della scena è dettato dalle nostre azioni, non dall’atteggiamento”. Oppure, la forte disparità che aleggia ancora oggi tra uomo e donna: “Quando cucino io è speciale, come se le facessi un favore, nelle serate normali mi aspetto che lo faccia lei. Questo è patriarcato”. Temi difficili da trattare che in generale la serie affronta con leggerezza e originalità, non prendendosi mai troppo sul serio, e spezzando con puntale ironia alcune riflessioni che potevano cadere facilmente in un forte moralismo. Molto apprezzabile è l’approccio che la serie ha nel trattare alcune pratiche sessuali (come i giochi di dominazione), che perdono qualsiasi tipo di pregiudizio e vengono svincolate dal solito tabù. Arriva forte il messaggio che nessuna persona dovrebbe vergognarsi per i propri gusti sessuali, anche se agli occhi degli altri possono risultare un po’ fuori dal comune.
Con una fotografia molto curata e una colonna sonora accattivante, la seconda stagione di Bonding si presta facilmente ad essere vista tutta d’un fiato, data anche la breve durata di ogni episodio (15-20 minuti). Un po’ troppo superficiale su alcuni aspetti, è una serie che presenta, però, una sorprendente profondità, se sai dove cercarla. Il finale farebbe pensare ad una possibile terza stagione. Necessaria? Probabilmente no.