Bastardi senza gloria: la storia desiderata da tutti compie 15 anni

bastardi senza gloria: l'approfondimento del film di Tarantino per i suoi 15 anni di uscita

Ammettiamolo, quanti di noi hanno immaginato un mondo utopico in cui la seconda guerra mondiale finiva molti anni prima, ma non abbiamo mai avuto modo di mettere in atto tale rappresentazione? Ecco, non vi preoccupate, perché, 15 anni fa, ci ha pensato uno dei migliori registi del cinema contemporaneo, Quentin Tarantino, con la sua opera Bastardi senza gloria (trailer). Uscito oggi, 23 Luglio del 2009, nelle sale londinesi, il film è la treccia narrativa di un manipolo di personaggi, uomini e donne di varia nazionalità, che, con le loro personali storie, vicissitudini e azioni, concorrono tutti verso un unico obiettivo: la conclusione della guerra.

La trama inizia in un’Europa soggiogata, per la precisione tra le belle e verdeggianti valli francesi, dove una famiglia di contadini, i LaPadite, cercano di nascondere una famiglia ebrea dirimpettaia, i Dreyfus, ma ricevono l’incomoda visita del colonnello delle SS Hans Landa (Christoph Waltz). Questo, rinominato “il cacciatore di ebrei”, per la sua eccellente abilità nello stanare i così detti “ratti”, scova e stermina quasi tutta la famiglia Dreyfus, e, per pura casualità, riesce a salvarsi la figlia maggiore Shosanna (Mélanie Laurent). La scena, poi, si sposta avanti di tre anni quando il tenente Aldo Raine (Brad Pitt) recluta un commando speciale di otto militanti ebrei, I bastardi, assetati di vendetta. Il loro compito è, dunque, quello di rompere le linee nemiche tedesche, smantellando, non solo gli animi, ma soprattutto ogni testa nazista che trovano sul loro percorso. Infatti, ad averli rinominati “i bastardi senza gloria”, per la loro sadica tendenza a torturarli, ucciderli con una mazza da baseball (specialità esclusiva del sergente Donnie “l’Orso Ebreo” Donowitz (Eli Roth) e a fargli lo scalpo, sono stati proprio i soldati crucchi, terrorizzati di subire la medesima sorte dei loro compagni caduti.

Nel frattempo la bella Shosanna, ormai cresciuta e conosciuta con il nome di Emmanuelle Mimieux, lavora e gestisce il proprio cinema nel cuore di Parigi, dove fa la conoscenza del soldato tedesco, nonché eroe di guerra e stella del cinema nazista, Friedrich Zoller (Daniel Brühl). Questo, rapito dalla bella ragazza e deciso a conquistarla con i suoi favoritismi, convince il ministro della propaganda del Terzo Reich Joseph Goebbels (Sylvester Groth) a spostare la premier del suo nuovo film Orgoglio della nazione nel piccolo cinema di periferia. Un evento esclusivo per i tedeschi, ma anche un’occasione d’oro per Emmanuelle per poter pianificare e distruggere, una volta per tutte, il regime nazista, soprattutto dopo aver rincontrato il suo carnefice Hans Landa ed esser venuta a conoscenza del suo ruolo nella serata.

Ovviamente, anche i sovraintendenti dell’operazione Kino (il nome in codice dell’operazione per lo sterminio del Terzo Reich), e gli stessi Bastardi a loro subordinati, vengono a sapere del cambio di location e decidono di intervenire tempestivamente, sotto copertura, al gran gala. Alla serata, inizialmente, doveva partecipare la loro collaboratrice e attrice tedesca Bridget Von Hammersmark (Diane Kruger), accompagnata dal critico inglese, il tenente Archie Hicox (Michael Fassbender); però, a causa di un rendez- vous finito male in una locanda, nel quale il tenente muore (oltre ai due bastardi: sergente Hugo Stiglitz (Til Schweiger) e l’attrice rimane gravemente ferita, i piani cambiano. Dunque, ad interpretare la farsa, insieme alla Hammersmark, vanno Raine, Donowitz e il soldato Omar Ulmer (Omar Doom), i quali, infiltrati come figuranti del cinema italiano, dovranno introdurre armi ed esplosivi all’interno della sala di proiezione.

Tuttavia, ad attenderli li in agguato, c’è proprio il capo della sicurezza Landa, il quale, dopo aver provveduto ad un sopralluogo alla cantina e aver scoperto l’implicazione, in un attentato verso Hitler, sia dei bastardi sia dell’attrice tedesca, smaschera ingegnosamente gli impostori e li divide senza dare nell’occhio. Quindi il colonello delle SS, dopo un colloquio privato e averle fatto indossare la sua scarpetta, perduta durante la sparatoria, uccide Bridget Von Hammersmark; mentre il tenente Aldo Raine e il soldato semplice Smithson Utivich (B. J. Novak) vengono catturati.

Contemporaneamente al duplice attentato, ancora in atto, di Donowitz e Ulmer e di Shosanna e il suo amato Marcel (Jacky Ido) di bruciare tutto il cinema; Hans Landa stipula, con l’alto comando americano, un accordo di collaborazione, che implica tutti gli onori per la riuscita dell’operazione Kino, la pensione garantita al di fuori del paese e, ovviamente, la totale immunità diplomatica. In una conclusione estremamente calzante, che parte dalle fiamme ardenti del cinema, passando alle sparatorie tra il soldato Zoller e Emmanuelle e al massacro dei due soldati contro la folla tedesca; il film trova il suo punto di massimo splendore quando, alla resa finale dell’ufficiale Landa, il tenente Raine decide di infliggergli il suo caratteristico trattamento di favore, l’incisione sulla fronte della svastica nazista.

La successione degli eventi di Bastardi senza gloria si ispira sui fatti storicamente accertati dei reali “bastardi”, uomini veri: «ebrei, americani, che dopo essersi rifugiati dai tedeschi nazisti, tornarono indietro per vendicarsi». Una vera e sporca dozzina, un plotone strano ed eterogeneo, che aveva, tra le sue fila, persone di ogni estrazione; dai rifugiati tedeschi, ai piloti della Luftwaffe e persino un macellaio. Tutti selezionati perché sapevano le lingue ed erano pronti ad affrontare, a cuore aperto, le missioni oltre confine, suicide, « in cui la realtà supera di gran lunga la finzione». Arruolati dalla OSS, l’Office of strategic service, ed addestrati ad essere un commando specializzato nell’uccidere i nazisti dietro le linee nemiche, i “bastardi” erano eroi volontari che, come nella storia ucronica raccontata dal visionario regista americano, erano desiderosi di flagellare la piaga tedesca, in quella che verrà chiamata l’operazione Greenup (nel film Kino).

Ebbene, tra tutto il plotone di soldati operati nella missione, solo alcuni nomi ebbero una grande cassa di risonanza nella storia: il comandante di compagnia Fred Mayer, il soldato addetto alla radio Hans Wijnberg e il traditore tedesco, obiettore di coscienza, il tenente Franz Weber. Questi, che rispettivamente ispirarono i personaggi del tenente Aldo “l’Apache” Raine, il sergente Donnie “l’Orso ebreo” Donowitz e il sergente Hugo Stiglitz; vennero incaricati di compiere delle incursioni a Innsbruck, dove non solo ostacolarono il maggiore centro ferroviario tedesco, ma riuscirono ad istituire, con le tre sorelle del tenente Weber (Luisa, Gretel e Eva), una rete di informazioni sulle organizzazioni nemiche (tra cui quella sulla posizione del Bunker di Hitler e la sua costruzione). Purtroppo, il comandante Mayer, in quanto spia sotto-copertura, venne catturato e torturato dalla controparte tedesca, ma venne, in breve tempo, salvato e liberato dal generale del ridotto alpino Franz Hofer, a cui Mayer offrì un accordo di resa. Accordo che, in primis, non aveva l’autorità di stanziare, ma che, in secondo luogo, diede vita ad una delle scene più memorabili di questo film.

Pertanto, se noi amanti del cinema abbiamo da 15 anni questa parte una perla lucente di questo calibro, lo dobbiamo, non solo alla costruzione magistrale di Tarantino del ruolo del colonnello Hans Landa (cresciuto dalle radici reali del generale Hofer); ma in particolar modo all’interpretazione stellare di Christoph Waltz.
Difatti, grazie alle sue considerevoli capacità linguistiche del tedesco, francese, inglese e italiano, l’attore riuscì a sdoganare nel profondo, fino al più piccolo punto sadico, il carattere ostico, malato ed estremamente crudele di tale personaggio. Performance che gli valse, agli Oscar del 2010, rispetto alle 8 nomination ricevute per il film, l’unica vittoria come Attore non Protagonista.

Quentin Tarantino iniziò la stesura della sceneggiatura dei Bastardi senza gloria nel 1998, subito dopo la direzione e pubblicazione di Jackie Brown (1997), e ci impiegò quasi un decennio per finirla. Invero, aspettava la chiusura della scena perfetta, potente e travolgente, e, per tale motivo, nel 2003, decise di mettere da parte la sua opera nascente per dedicarsi al suo impellente lungometraggio Kill Bill. Il film, girato principalmente tra la Francia e la Germania e costato 70 milioni di dollari, riscosse un enorme successo per la sua inconsueta divisione in capitoli, tipica della narrativa classica di un tempo. Questa permise la perfetta immedesimazione dello spettatore con il personaggio, e la creazione di tutte storie, allo stesso tempo pertinenti e coinvolgenti, che coesistevano in un unico establishing shot, ma che riuscivano comunque a dividersi in compartimenti stagni. Tutto ciò con lo scopo di intrecciare, al momento giusto, le loro dinamiche interne in un crescendo esponenziale di tensione nervosa, pronta ad esplodere. Una possibilità che venne colta immediatamente, e in modo sublime, da Tarantino, sia alla conclusione di ogni arco narrativo, sia all’exploit del capitolo finale, in uno tra i migliori stravolgimenti di trama che il genere ucronico abbia mai avuto.

La riuscita della pellicola dipese, anche, dalla sua iconica e “speziata” fotografia, curata da Robert Richardson, che valse, durante tutta la produzione, l’impiego di attrezzature quali lenti (primo e cooke), camere Panavision, Panaflex e Anaflex 435, al fine di ottenere una visione di insieme similare alle pellicole anni ’30. L’idea di un’immagine “antica”, ma con le dovute eccezioni di moderni movimenti di camera (anche semicircolari), scavalcamenti di campo, carrellate e crane a seguire. Il tutto, ovviamente, seguendo il gusto registico di Tarantino: alternanza di inquadrature a campo largo, a quelle dei primi piani, fino ad arrivare ai minuscoli dettagli, pieni di significati e pathos, che, convogliavano l’attenzione dello spettatore e lo ponevano anche in una condizione di tensione emotiva – narrativa per il protagonista in azione. Sensazione, per di più, incalzata non soltanto dall’uso di colonne sonore ad hoc e melodie quali Per Elisa di Beethoven, ma in particolar modo grazie all’oculata costruzione dell’illuminazione: di immagini estremamente luminose, di quelle a scarsa illuminazione (come ad esempio il lucernario nella scena dell’interrogatorio), e di quelle, quasi nella totalità, oscure.

Quest’ultime, scelte probabilmente per riprendere e omaggiare la peculiare fotografia dei lungometraggi western, di cui Quentin Tarantino è un grande patito. Invero, sia il titolo di testa di Bastardi senza gloria, scritto dal regista di suo pugno e trasportato in digitale sulla pellicola, sia il titolo del primo capitolo chiamato: C’era una volta una Francia occupata dai nazisti; erano rispettivamente due chiari riferimenti alle opere dei registi Enzo G. Castellari Quel maledetto treno blindato (Inglorius Bastards- 1978) e di Sergio Leone C’era una volta il West (1968). Castellari, poi, venne ulteriormente omaggiato dal visionario regista, introducendolo sia nella schiera di comparse nella scena della premiere nazista, sia quale nome del personaggio Enzo Gorlomi (storpiatura di Enzo Girolami, suo pseudonomo). 

Caratteristica immancabile nella regia di Tarantino era, nella pellicola, il suo forte attaccamento alla simbologia e alla metafora, una peculiarità didascalica atta al rinforzamento significativo dell’intera trama, tramite oggetti e strumenti vari. Dalle pipe, similari a quelle di Sherlock Holmes durante la fase investigativa; al latte, solitamente rappresentativo dell’ innocenza e dell’ infanzia, che qui però veniva scardinato contro la tradizione ebraica; fino alla più piccola citazione sul coltello di Stiglizt, che recitava: «Il mio amore si chiamava lealtà», motto di un sergente tedesco omicida di 13 ufficiali SS. Oltre a questi, anche la casualità di una foglia caduta sul petto di uno dei bastardi, nella scena di presentazione, contribuì all’immaginario metaforico del film, poiché associata, dalla produzione, ad una fittizia stella di David.

Come sappiamo, non era affatto raro vedere lo zampino di Quentin Tarantino all’ interno delle sue opere e, anche quella volta, in Bastardi senza gloria, il suo tratto non tardò a farsi notare. In un semplice excursus, che andava dalla sua generale comparsa come un soldato tedesco ucciso, a quello di uno americano nel cuore del meta film di propaganda nazista (interamente girato in pellicola) Orgoglio di una Nazione; fino a deragliare, nel profondo, a quelli che oseremmo dire i suoi feticismi fisici, di piedi, ma soprattutto mani, che strangolavano l’attrice tedesca in un climax di veridicità violenta, quasi estrema. Un’ enfatizzazione concreta del personaggio, della sua psicologia in correlazione alla sua mimica facciale, risaltata e storpiata dal regista, con l’ impiego inquadrature particolarmente inclinate, dal basso e dall’alto, in un immaginario di dominanza o sudditanza grazie al loro abbinamento con un forte contrasto di luci e ombre.

Per quanto riguarda, invece, l’incarnazione della Vendetta Ebrea, Quentin Tarantino costruì e racchiuse nei due characters di Donny Donowitz e Shosanna Dreyfus, due volti della stessa medaglia. Due guidei, due esseri umani, pronti ad imbracciare le loro rispettive armi, una mazza da baseball e una pizza cinematografica, per compiere il loro destino di “destituire” il regime nazista, rappresentando orgogliosamente il proprio popolo. Bastardi senza gloria, incassando un compenso totale di 321.400.000 di dollari, divenne uno dei film più acclamati della storia del cinema contemporaneo, consacrando, sia il suo creatore, sia il suo unico genere di provenienza, quali emblemi artistici della quintessenza cinematografica, con uno dei finali della storia che nessuno di noi potrà mai dimenticare.

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