Barbie, la recensione: Un mondo su misura

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Dopo mesi e mesi di martellante pubblicità esce finalmente nelle sale Barbie (trailer), il terzo film diretto da Greta Gerwig dopo Lady Bird e Piccole Donne. La scena iniziale, già apparsa in uno dei vari trailer promozionali, strizza letteralmente l’occhio ai cinefili di tutto il mondo, rielaborando una delle sequenze più significative della storia del cinema: al monolite di 2001: Odissea nello spazio si sostituisce la prima Barbie (Margot Robbie) mentre ai primati subentrano le bambine di tutto il mondo che, fracassando i loro bambolotti, si ribellano violentemente al ruolo a loro imposto dalla società, ovvero quello di “madre”.

Eppure questa prima scena, eseguita con notevole maestria, appare slegata dal contesto narrativo che vede Barbieland come location principale, un mondo prevedibilmente e smodatamente rosa in cui le Barbie vivono la loro vita plastica e perfetta convinte di aver apportato un cambio radicale di paradigma (da patriarcato a matriarcato) nel mondo reale. Barbieland, non a caso, è un mondo costruito e pensato per essere tutto al femminile in cui i Ken (e l’unico Allan) appaiono come personaggi secondari e/o opzionali rispetto alla star indiscussa che viene rappresentata in tutti gli aspetti possibili; oltre alla Barbie stereotipo interpretata da Robbie, nel film vediamo anche Barbie che ricoprono ruoli di potere all’interno della società (dottoressa, avvocato, presidente, etc..) e che presentano corporature e etnie differenti. Non tutte le Barbie però “vengono con il buco”, nella pellicola infatti sono presenti Barbie fuori produzione che, proprio per il loro aspetto bizzarro, vengono poste ai margini di questa utopica società.

La narrazione segue alla lettera la struttura del “Viaggio dell’eroe” di Vogler quando la protagonista arrivata quasi alla fine della sua “giornata tipo”, che a Barbieland altro non è che “il giorno migliore, come ogni giorno”, sembra mostrare un malfunzionamento. Il giorno seguente le cose sono peggiorate Barbie ha l’alito pesante, brucia i pancake, le fanno male i tacchi e ha la cellulite, tutti sintomi di un indesiderato processo di umanizzazione che può essere disinnescato solo trovando la bambina a Barbie “appartiene” nel mondo reale.

Attraverso un parodistico viaggio Barbie e uno dei Ken (Ryan Gosling), che si è unito all’impresa all’ultimo minuto, arrivano nel mondo reale che, fin da subito, appare stereotipato tanto quanto Barbiland. I due mondi vengono rappresentati agli antipodi mentre nella scoperta di questa realtà alternativa non mancano momenti di pungente ironia relativi alla condizione della donna nella società odierna. La narrazione si sviluppa ulteriormente quando il “fidanzato di Barbie”, il “numero due” di tutta la narrazione ovvero “solo Ken” (come canta lui stesso in un “momento musical” all’interno del film), prende il controllo di Barbieland mettendo in pratica le nozioni apprese nel mondo reale e assoggettando le Barbie al volere degli “uomini”. Nonostante non sia il protagonista Ken ricopre dunque un ruolo importante e un margine di azione ampio per il personaggio che, però, viene interpretato da Gosling forse in maniera troppo esasperata.

Barbie la recensione del film della regista Greta Gerwig

Barbie, al contrario, continua il suo viaggio ma la bambina che cercava in realtà si rivela essere sua madre, Gloria (America Ferrera). Una scelta interessante che forse è collegata al fatto che il boom economico di questo brand di “fashion doll” sia avvenuto negli anni ’90; la Barbie dunque è un richiamo al mondo dell’infanzia più per i millennials che per le nuove generazioni. Le tre donne (madre, figlia e bambola) si mettono in viaggio per tornare a Barbieland inconsapevoli della sua trasformazione in Kendom: il regno del “patriarcato e dei cavalli”. La protagonista, sconvolta dal cambiamento, si arrende all’inevitabile disfatta ma Gloria e sua figlia, il cui rapporto è notevolmente migliorato proprio grazie a quel viaggio (nei ricordi e non) intrapreso con Barbie, si rifiuteranno di arrendersi.

Gloria riesce a riprogrammare le Barbie che sembravano essere sotto l’effetto di un lavaggio del cervello, ponendo il focus su come le donne vengano percepite nella società e, soprattutto, sulle pesanti contraddizioni che caratterizzano i discorsi pubblici a riguardo di ciò che una donna “dovrebbe fare”, ma anche “dovrebbe essere” e persino “rappresentare”. Elemento che viene dipinto in modo squisitamente comico in quella che rappresenta il primo step della riconquista di Barbieland. Un finale che vede prevalere le donne grazie a quel sentimento di “sorellanza” che da sempre le femministe cercano di promuovere e che forse apparirebbe un messaggio esplicitato in modo troppo forzato, se non fosse che ci troviamo in questa dimensione “a misura di donna” .

Barbie è visibile in sala dal 20 luglio.

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