Ava, uno dei nuovi film disponibili sul catalogo Netflix (nella veste di semplice distributore italiano), si presenta già dal trailer, o meglio, più o meno. Il trailer esibisce un cast niente male, che spazia da una Jessica Chastain (Wilde Salome; Miss Julie; A Most Violent Year; Crimson Peak; Molly’s Game; X-Men: Dark Phoenix; It-Capitolo due) a un John Malkovich (Deepwater- Inferno sull’oceano; The New Pope) fino a Colin Farrell (The Lobster; Animali Fantastici e dove trovarli; End of Justice; The Gentlemen; Artemis Fowl), passando anche, nella coda, per Geena Davis e per un veloce Ioan Gruffudd (per chi non se lo ricordasse, il Mister Fantastic dei primi Fantastici 4). Quello che viene mostrato è un classico blockbuster d’azione, dove Ava, la protagonista interpretata dalla Chastain, è la tipica assassina a sangue freddo, dal solito passato tormentoso. Ciò che, Ava, sembrerebbe vendere a un proprio papabile pubblico è un film carico d’azione con, qualche spruzzo da spy story che non guasta mai. Eppure, nella realtà dei fatti, non fa che disattendere anche le più banali attese di genere.
La sequenza d’apertura è la stessa del trailer e qui l’intensità non manca e neanche la forza magnetica data dalla propria protagonista, seducente sia per la recitazione che per il tipo di inquadrature che la catturano. In particolare le due soggettive della sua prima vittima che, dallo specchietto, la mostrano prima come preda e poi come abile cacciatrice, che sembra quasi guardare negli occhi anche lo spettatore, rendendolo complice della propria strategia, prima di distogliere velocemente lo sguardo. A questo punto, però, invece di concludere con i titoli di testa, che, con un’interessantissima grafica, trovano un modo interessante per esporre il set up, il film si dilunga in una scena verbosa, priva di charme e che non fa che anticipare alcune scema successive, incasinando, tra l’altro, senza alcun motivo, l’ordine temporale.
Se la struttura di un film non è costruita da regole, ma da principi (McKee docet) e se questi possono essere rivoluzionati anche dentro quei generi più stereotipati (ne è un eccelso esempio il Blackhat di Michael Mann che appartiene proprio alla stessa categoria di Ava), bisogna pur sempre tener conto che, prima di effettuare qualsiasi virtuosismo più creativo, quei principi vanno conosciuti più che bene. Se non lo si fa, l’effetto è quello di un prodotto sconclusionato, che accumula senza portare a galla nulla. Persino il cast, così sensazionale, alla fine cade in questo buco strutturale, generando delle performance senza né arte né parte, a causa della piattezza dentro cui sono intrappolati e che la regia cerca di liberare solo in sporadici punti, stancandosi con la stessa intensità con cui risulta annoiare il proprio pubblico.
È probabile che questo effetto di “pastiche andato a male” sia la causa di un cambio di direzione improvvisa. Infatti il film, inizialmente Eva, doveva essere girato dal suo stesso sceneggiatore, Matthew Newton, rimpiazzato in corso d’opera da Tate Taylor in seguito a diverse accuse di violenza domestica. Tuttavia, che ciò sia il risultato di un “effetto Frankestein” o di un problema alla radice, poco importa, visto che lo stile visivo di Taylor decide di non andare, quasi mai, oltre quel minimo sforzo a cui sembra essere stato costretto.
Quindi, Ava è da una parte il classico film d’azione presentato dal trailer, ma che, nel tentativo di cambiare le carte in tavola di un genere fortemente stereotipato, cade in un puzzle privo di diversi pezzi e con altri incastrati male e con evidenti forzature. Tra quest’ultime, inoltre, quella che stona di più (escludendo le banali e fintissime scene d’azione vera e propria, con cui tradisce i suoi spettatori di riferimento) è sicuramente la nota che, nell’incipit, sembrava essere la più interessante, ovvero il ruolo della donna, che alla fine diventa un mix, anche lei, tra zuppa e pan bagnato, tra il glaciale e un patetismo senza alcuna possibilità di riscatto.