«Le donne sono gli esseri più misteriosamente affascinanti del mondo animale». Questa frase, pronunciata più o meno a metà film, potrebbe passare inosservata e perdersi in un turbinio di volti, corpi, eppure no. Sono parole che attirano l’attenzione, forse perché vi è racchiusa l’intera storia. Attenberg (trailer), diretto da Athina Rachel Tsangari, parla di donne e di animali.
Il riccio, per definizione, è abitudinario, scontroso, tira fuori i suoi aculei nel momento in cui si sente minacciato. Al rapporto con gli altri mammiferi predilige la solitudine. Nell’arco del film la protagonista viene paragonata proprio a questo animale. Forse per il suo essere agli antipodi di qualsiasi tipo di convenzione, forse perché sfugge ad ogni tocco umano rifugiandosi in una rassicurante solitudine.
Marina (Ariane Labed) è una ragazza di ventitré anni che si ritrova ad affrontare l’imminente perdita del padre (Vangelis Mourikis) gravemente malato. L’addio con il genitore comporta inconsapevolmente la tensione a destrutturare il vecchio e a costruire il nuovo, la necessità di abbandonare l’infanzia e provare a sperimentare la vita adulta. In questo senso potremmo dire che Attenberg si delinei come un atipico coming of age. La donna, con lo sguardo perso nel vuoto e l’espressione imperturbabile, rompe gli schemi di quella che sembra essere la sua “inabilità” alla vita. Sperimenta, conosce, guarda per la prima volta ciò che la circonda, come se si trattasse di un assurdo mistero da decifrare.
Nel percorso di scoperta di Marina la sessualità svolge un ruolo chiave. La protagonista è costantemente divisa tra il reprimere i suoi impulsi e il lasciarsi accendere da essi. La componente sessuale inesplorata diventa un po’ il simbolo di tutto ciò non ha potuto conoscere e che ha la spinta a conoscere, nonostante il grande timore nel farlo. In questo, la sua migliore amica Bella (Evangelia Randou), disinibita ed esperta, avrà una parte rilevante. Le due si toccano, si ascoltano, si guardano, ispezionano l’altra in maniera quasi clinica, analitica. Tsangari scompone i loro corpi, li rende innaturali. Il sesso, in questo senso, si figura più come una ricerca antropologica: c’è poco spazio per il piacere.
Nella New Wave che ha interessato il cinema greco degli ultimi anni è riscontrabile proprio la tendenza che i personaggi hanno a scoprire il mondo, la necessità di svincolarsi dalla crisi che investe l’uomo contemporaneo. Basti pensare alle opere di Yorgos Lanthimos come Dogtooth, Alps, ma anche lo stesso Poor Things, oppure ai film di Yorgos Zois, per farsi un’idea. Queste figure sembrano muovere i primi passi in una realtà alla quale non sentono appartenere, a cui cercano di aderire, finendo per adattarsi o per scollarsi. E mentre si fanno largo smascherano la crudeltà, l’incoerenza e l’indifferenza che questa stessa realtà riserva loro.
Un altro protagonista della storia è lo spazio. Tsangari sceglie di restituire allo spettatore lunghe sequenze di luoghi vasti, ambienti industriali, natura incontaminata. Un po’ li ispeziona con una traballante camera a mano, un po’ li spiattella sullo schermo nell’immensità di piani lunghi. La regista sceglie così di trasferire allo spettatore un senso di solitudine, alienazione. I personaggi, figure minuscole all’interno di questi spazi sconfinati, sembrano uniformarsi al paesaggio, farsi un tutt’uno con esso, fino quasi a scomparire. L’essere umano, così piccolo, effimero, viene risucchiato in un cosmo gigante. Non c’è posto per redenzione, commiserazione, Attenberg è un film smaccatamente pessimista.
La messa in scena si svincola da qualsiasi tipo di normalità. Dialoghi e pose innaturali, grottesche coreografie, silenzi imperturbabili. Padre e figlia per comunicare assumono atteggiamenti animaleschi, si annusano, improvvisano una stramba danza delle scimmie, rivendicano potere con un urlo da gorilla. Tutto sembra avere l’obiettivo di togliere naturalezza ad un film che, in realtà, si rivela piuttosto semplice. Marina è solo una ragazza di ventitré anni estremamente spaventata da un mondo inclemente che sembra respingerla. Spyros è solo un uomo che si arrende all’idea di dover affrontare la morte. Bella è solo una donna che usa il sesso per sentirsi accettata e vista dagli uomini. Attenberg per quanto possa essere paradossale, stravagante, per quanto possa discostarsi dalla realtà e dal cinema che siamo abituati a vedere, non parla forse di noi? Di tutti noi?
Film del 2010 al cinema dal 13 giugno, distribuito da Trent Film.