Nell’estate del 1981 il pubblico americano passò qualche ora al cinema sorridendo alle (dis)avventure di Arturo Bach nella commedia romantica di Steve Gordon Arturo (Arthur, trailer). Il produttore di Annie Hall (Woody Allen, 1977) e Manhattan (Woody Allen, 1979) Charles H. Joffe puntò sull’unica pellicola del regista prematuramente scomparso coinvolgendo un entusiasta Dudley Moore, nei panni dell’eterno Peter Pan miliardario di New York Arturo, e un’energica Liza Minnelli, qui l’aspirante attrice e cameriera del Queens di nome Linda di cui il nostro protagonista si innamora, spalleggiato dal maggiordomo Hobson (John Gielgud) in quest’impresa amorosa – apparentemente – impossibile.
Anziché vedere Arturo nella sua sortita, ne “ascoltiamo” l’iconica risata – è essenziale, in questo caso, il lavoro di Massimo Giuliani, attore e prolifico doppiatore romano, che restituisce al pubblico italiano la simpatia e follia dell’interpretazione di Moore. Arturo appare poi a bordo di una Rolls-Royce “Silver Wraith” per sbrigare i suoi affari: girovagare ubriaco per Manhattan e, il mattino dopo, far passare la sbornia con un bagno allietato dal suo drink preferito.
Arturo è un successo e porta a casa diversi Oscar: la chimica tra Moore, la Minnelli e l’anziano Gielgud (“Uncle Johnny” sul set), leggenda del teatro inglese nonché premio Oscar come miglior attore non protagonista, funziona alla perfezione; Best That You Can Do di Burt Bacharach, interpretata da Christopher Cross, anch’essa premio Oscar e Golden Globe come miglior canzone per film, ci accompagna per le strade illuminate di una New York notturna tipicamente hollywoodiana. Tuttavia il sequel, Arturo 2: On The Rocks (Arthur 2: On the Rocks, 1988), dedicato alla memoria di Gordon, non fu all’altezza dell’originale, e costò alla Minnelli il Golden Raspberry Award come peggiore attrice.
Il denaro e l’amore
Secondo Sigmund Freud, le questioni di denaro vengono trattate con lo stesso pudore con cui vengono accennate quelle sessuali, e come il sesso il denaro scatena paranoie sugli aspetti immateriali della vita, cioè la propria identità, l’autostima, le aspettative. L’economista Richard Easterlin, invece, definisce il denaro come “il paradosso della felicità”: superata una certa soglia di ricchezza, il benessere volta le spalle a chi lo possiede.
La upper class di cui è figlio Arturo è spietata. Il matrimonio con la facoltosa Susan Johnson (Jill Eikenberry) è l’oggetto con cui il padre di Arturo ricatta il figlio: se rifiuta l’unione, non riceverà la sua eredità. E non sbaglia, il padre, quando definisce il figlio «l’uomo più debole che abbia mai conosciuto», perché il nostro protagonista in un primo momento accetta senza troppi ripensamenti il compromesso. D’altronde, è «troppo vecchio per essere povero». La povertà non è romantica, e il romanticismo non arricchisce l’uomo, secondo la famiglia Bach.
Il padre di Arturo ritiene sufficiente “comprare” suo figlio togliendogli ciò di cui ha più bisogno per risolvere la sua dipendenza dall’alcol, cioè un amore vero e non legato da costrizioni sociali, e non si oppone alla dispersione dell’eredità, preferendo l’alcolismo alla possibilità di curarlo con l’amore. Hobson, voce razionale e disinteressata della high society, ricorda al giovane Bach che «gli ubriaconi poveri non trovano l’amore». Ma in Hobson, in fondo, Arturo vi cerca il supporto che non trova nel padre e il maggiordomo, a sua volta, desidera vedere il ragazzo vincere su suo padre – non tanto sull’alcolismo. Lo sostiene nelle sue scappatelle con Linda, capisce che i due sono davvero innamorati, e come ultimo desiderio vuole rendere felice Arturo. Hobson gli insegna a vivere, a morire, ma soprattutto gli regala la consapevolezza di poter rendere la vita ciò che realmente si desidera. D’altra parte, il buon vecchio Hobson è l’unico che chiama Arturo «un caro figliolo».
Arturo sembra capire però che i soldi – e l’alcol – compensano la mancanza di sicurezza e il bisogno di appartenenza, di stima e di espressione. Arturo è succube dell’umanità, non vuole farsi trovare impreparato e tiene sempre una battuta pronta da sfoderare nei momenti di maggiore difficoltà. La chiave di volta è Linda: nella sua persona, Arturo trova un’amica che non lo stima per i soldi, innamorata, innanzitutto, del suo bisogno d’amore. Arturo agli occhi di Linda è un principe, e per il giovane Bach la semplicità della ragazza è impagabile. Linda si inserisce con complice spontaneità nel suo mondo, per lei Arturo potrebbe anche smettere di bere… Nessuno, tranne lui, sembra capire che il denaro altro non è che una riserva di infinite possibilità da trasformare in beni duraturi.
BIBLIOGRAFIA
- Jeff Lenburg, Dudley Moore: An Informal Biography
- Danel M. Kimmel, I’ll Have What She’s Having: Behind the Scenes of the Great Romantic Comedies