A chi dobbiamo dare realmente la colpa per l’adattamento di Artemis Fowl (trailer) che esce timoroso su Disney+ anzichè nei primi cinema aperti dopo il covid o nelle arene estive in preparazione? Se dobbiamo proprio fare un “processo” all’opera – i lettori di questo pezzo amanti dei libri non ci perdonerebbero il contrario – dobbiamo cercare di essere distaccati e oggettivi, con questo impegno ci accingiamo a “processare” (le virgolette saranno sempre d’obbligo) l’opera di Kenneth Branagh, premettendo che chi scrive apprezza il talento attoriale e teatrale dell’irlandese sopracitato e si impegna a non essere indulgente in caso di “colpevolezza”.
Trovo doveroso aggiungere di non avere mai letto il libro e di basarmi sulla densa bibiografia di critiche già esistenti, dopo solo pochi giorni dal rilascio internazionale del film, estrapolando argomentazioni oggettive e sorvolando su slanci troppo emotivi di chi ama da vero fan i libri della serie, che però ci confonderebbero nella scoperta del “colpevole”. Infine, prima di dare inizio al “processo” va precisato che è tutto da leggere e vedere in prospettiva scherzosa, dato che riscrivere un libro per il cinema mutando la natura della storia e dei suoi personaggi può essere una delusione ma non è assolutamente un crimine.
A volte riscrivere giova al mito del testo originale come è capitato (opinione diffusa) con l’adattamento di Stanely Kubrick del libro Shining e talvolta il processo di rielaborazione è così scrupoloso, distante nella forma ma vicino nella sostanza, da risultare quasi il miglior tributo che si possa rendere ad un testo originale (come forse può essere successo per la serie HBO Watchmen).
Gli otto libri dell’irlandese Eoin Colfer sono degli indiscutibili successi editoriali ed hanno il merito di aver rivisitato i miti della cultura tradizionale irlandese rendendoli intriganti per una nuova generazione di fruitori, deformandoli nella loro forma superficiale, ma rafforzandoli nella loro natura più profonda.
Il cast del film di Kenneth Branagh è indiscutibilmente eccellente, al servizio del regista irlandese ci sono volti magnetici e amati dal pubblico, talenti del calibro di Colin Farrell e Judi Dench (tanto per restare in Irlanda). La stessa regia di Kenneth Branagh contiene e calibra gli attori con il polso e la consapevolezza di sempre e se i personaggi funzionano un minimo non è tanto per la loro caratterizzazione (ridotta all’osso) ma per la totale presenza scenica degli interpreti e per la capacità di dirigerli di Branagh.
Il film scorre velocissimo ed i personaggi, come già sostenuto da critici più illustri, sono abbozzati e scarabocchiati, non c’è il tempo per comprendere le motivazione di Artemis Fowl (Colin Farrell) padre e tanto meno le problematiche interiori del figlio protagonista (Ferdia Shaw) che viene sbattuto nel mezzo dell’azione senza nemmeno il tempo per un canonico rifiuto della chiamata all’avventura. Gli rapiscono il padre, lui entra in azione.
Le firme alla sceneggiatura sono senza ombra di dubbio disomogenee e al limite della compatibilità, qui non si riposa sulle opinioni, ma si lascia che a parlare sia il curriculum degli sceneggiatori. La prima scrittura che osserviamo è di Conor McPherson, outsider irlandese di Dublino, noto per i suoi film indipendenti da festival (come The Eclipse, Actors e Saltwater) e le sua miniserie colta e di nicchia Paula, deliziosa ma nota in sostanza solo nel Regno Unito. Insomma, McPherson sembra da subito più vicino a come era Branagh nella prima fase della sua carriera artistica. La seconda scrittura invece appartiene ad Hamish McColl: attore comico e sceneggiatore inglese specializzato in personaggi brillanti e a misura di famiglia quali Mr. Bean, Johnny English e l’orsetto Paddington. Come il lettore avrà potuto rilevare, già il matrimonio stilistico sembra molto difficile e dalla leggerezza dell’adattamento sembra che abbia avuto la meglio McColl con uno stile indubbiamente più in sintonia con i desiderata aziendali della Disney.
Il personaggio di Artemis Fowl perde con il film la sua spiccata natura criminale esaltata dal libro, non si tratta più di un piccolo genio del crimine che tiene sotto scacco le fate militarizzate e fantascientifiche con una condizione di stallo che lo stesso autore dei libri paragona al cult movie Die Hard, ma diventa un brillante e buonissimo bambino che deve suo malgrado ingannare le fate per ottenere l’aiuto e le risorse per salvare il suo papà prigioniero. Dal canto loro le fate sono riconosciute dai lettori dei libri come molto più pericolose, scaltre e ciniche, disposte a produrre vittime collaterali se la situazione militare arriva richiederlo, solo questi due elementi fanno a sufficienza capire quanto sarebbe stato impossibile per la logica aziendale Disney confezionare un prodotto con caratteristiche del genere.
Forse l’errore non sta nella regia ed in sostanza nemmeno negli sceneggiatori, i cui curriculum parlano chiaro su cosa sono e cosa possono realizzare, onestamente sembra anche troppo facile prendersela con la Disney, che è quello che è da così tanto tempo da non dover sorprendere nessuno per determinate decisione, ma nella scelta di fondo di vendere i diritti di un prodotto provocatorio e cattivello ad una grande azienda che dalla sua fondazione smussa gli angoli più truci o semplicemente cupi di favole classiche così come di protagoniste femminili della storia umana. Si conclude questo piccolo “processo” senza un colpevole diretto ma sollevando un doveroso interrogativo, ci si vuole domandare alla fine di questo piccolo percorso, se davvero basti l’offerta più alta o il candidato più facoltoso per garantire ad un’opera adeguato destino nel passaggio fra un media ed un’altro.