Il 17 gennaio l’Olanda inaugura la sua prima produzione originale Netflix, Ares (qui il trailer originale), serie drammatica a sfondo horror, in cui mistero, intensità e inquietudine dominano e creano le premesse per una serie intrigante.
Rosa (Jodie Olieberg) è una studentessa universitaria brillante, determinata e ambiziosa, ma con una situazione famigliare difficile. Sua madre soffre di depressione e tenta ripetutamente il suicidio. Con il padre ha apparentemente un rapporto distaccato. Tramite il suo migliore amico Jacob (Tobias Kersloot) viene a conoscenza di una setta elitaria olandese, chiamata Ares. Rosa entra a far parte dell’associazione, diversamente da quanto consigliato da Jacob. Fin da subito i due amici dovranno scontrarsi con prove durissime e raccapriccianti, ma solo con l’avanzare del tempo scopriranno quali oscuri segreti si nascondono dietro Ares, e soprattutto dietro la storia del proprio paese.
Anche l’Olanda, dopo la Germania con Dark, la Spagna con La casa di carta e l’Italia con Suburra – La serie, sbarca su Netflix con la sua prima produzione originale. Il prodotto, però, non sta ancora riscontrando particolare successo, molto probabilmente a causa dell’uscita in concomitanza con la tanto attesa seconda stagione di Sex Education. La nuova serie, composta da otto episodi, ideata da Pieter Kuijpers, Iris Otten e Sander van Meurs, riesce fin da subito a catturare l’attenzione dello spettatore grazie ad una storia cupa, ricca di misteri e segreti risolti solo alla fine.
La serie colpisce soprattutto dal punto di vista tecnico. Accanto alle buone interpretazioni degli attori, la maggior parte giovani, il punto forte è la fotografia accattivante che, anche grazie ai costumi e alla scenografia, riesce a rendere le immagini e l’atmosfera ancora più tetre e inquietanti. Non mancano, ovviamente, i colpi di scena, lo splatter e i momenti di suspense e tensione, che riescono a tenere viva l’attenzione ad ogni episodio.
Ares, anche se inizialmente sembra soltanto una serie di intrattenimento, emerge rispetto alle altre per via della sua originalità nella rappresentazione metaforica del colonialismo olandese. Sin dalla prima puntata, i personaggi fanno riferimenti al secolo d’oro della nazione e alla società che ha commesso atti riprovevoli per arricchire e fortificare l’Olanda. L’intento è quello di criticare la mentalità individualista e costringere gli olandesi a guardare in faccia la realtà e gli atti orribili compiuti dai loro antenati. Nonostante sia pensata per un target prettamente adolescenziale, Ares riesce a rivolgersi anche ad un pubblico più vasto.
La brevità dei soli otto episodi non permette tuttavia di approfondire la storia della setta o di introdurre adeguatamente i personaggi. I protagonisti sono caratterizzati da una scarsa indagine psicologica. Dalla storia, infatti, non traspare il motivo per il quale Rosa si inserisca così velocemente in un gruppo di persone a lei sconosciute. Dal momento che la protagonista viene introdotta come una ragazza dotata di senso critico, ci si aspetta che riesca subito a comprendere a quali relazioni pericolose stia andando incontro, perciò appare incomprensibile la sua scelta di entrare nella setta. Il corso degli eventi risulta troppo veloce, rendendo così la narrazione confusa, tanto che solamente all’ultimo diventerà più chiara.
Netflix, seppur continuando a puntare su un target di giovani, riesce con Ares a distinguersi dalle altre produzioni grazie alla singolarità del tema e della critica alla storia dei Paesi Bassi. Originale è il modo in cui esse vengono sviluppate, tramite immagini metaforiche e suggestive. Ares termina con ancora molte questioni lasciate in sospeso, che fanno pensare ad una possibile seconda stagione. La serie, nonostante resti troppo sbrigativa, riesce a incuriosire e a sorprendere lo spettatore, facendo intravedere un potenziale.